Pasqua. 5 piatti della tradizione e i vini in abbinamento
Cosa bere a Pasqua? Cinque piatti tipici della festa di primavera da gustare con dei vini italiani. I nostri consigli.
Pasqua con chi vuoi, anche a tavola. La festa primaverile è l’occasione per sperimentare ricette tradizionali e stagionali di diverse regioni d’Italia. Anche la scelta dei vini in abbinamento può essere trasversale, spaziando da una parte all’altra dello Stivale. Vi proponiamo 5 preparazioni tipiche della festività in wine pairing, sia classici, sia più innovativi.
LA TORTA PASQUALINA
Preparazione classica della Pasqua genovese, la torta pasqualina è un rustico ripieno di erbe spontanee e primizie primaverili, come bietole, spinaci, borragine, carciofi e maggiorana, lessate e poi unite ad aglio, formaggio grattugiato e prescinseua (la tipica cagliata ligure). All’interno di questa farcia, creando delle piccole fossette, vengono adagiate le uova, in modo che, rassodandosi in cottura, risultino poi ben visibili in sezione al taglio. Altro elemento simbolico è poi il numero di sfoglie della pasta, 33 come gli anni di Cristo, sovrapposte in sottilissimi strati.
La torta, che si consuma a temperatura ambiente, ha un gusto delicato e richiede un vino altrettanto gentile: localmente la scelta ricade sulla Bianchetta genovese (Gianchetta in dialetto), l’uva bianca del genovesato, presente nelle DOC Val Polcevera e Golfo-Tigullio Portofino, che dà vini dai delicati profumi floreali e dal corpo leggero e fresco. Andando fuori regione, senz’altro da considerare l’accostamento a un Lugana DOC della zona di Brescia e Verona, vino bianco fermo da uve Trebbiano di Lugana (biotipo locale del Verdicchio bianco marchigiano), dal gusto morbido e delicato, perfetto per le verdure.
LA PIZZA AL FORMAGGIO
È la protagonista indiscussa della colazione salata della Domenica di Pasqua e si accompagna a salumi e formaggi. Due le versioni più note, la Crescia marchigiana e la pizza umbra, ma in entrambi i casi si tratta di una torta salata al formaggio (di solito parmigiano, emmenthal e pecorino) dal colore dorato e dalla forma cilindrica. Un panificato compatto e asciutto, dal gusto piuttosto dolce e appena aromatico, che chiede un calice di buona freschezza e sapidità.
Di norma si abbina a vini rossi locali poco tannici, da uve Sangiovese (Umbria e Marche), Alicante o Montepulciano (Marche), ideali a tutto pasto e con i salumi. Interessante l’accostamento della Crescia con la conterranea Vernaccia di Serrapetrona, unica DOCG di spumante rosso in Italia, prodotta con metodo Charmat da uve di Vernaccia nera parzialmente appassite, nelle versioni sia secca, sia dolce. Un calice fruttato e speziato di cannella e noce moscata (aromi che ritroviamo anche nella ricetta della Crescia), dal gusto secco e appena astringente, ideale con formaggi e affettati. Se gustata da sola, la torta si lega bene a un bianco di media struttura, sapido e dai profumi floreali e fruttati in grado di esaltare l’aroma dei formaggi, come un Pinot grigio del Collio.
IL CASATIELLO
Di origini napoletane, ma apprezzato un po’ ovunque, il Casatiello è una ciambella di pasta di pane farcita con sugna, pecorino, provolone dolce e piccante e abbondante pepe, quindi decorata con uova “ingabbiate” da una croce di pasta. Il nome deriva dal latino caseus, formaggio, che era l’ingrediente principale del ripieno, arricchitosi oggi anche di salumi saporiti, in particolare il salame napoletano.
Venendo al vino, un abbinamento “local” è senz’altro quello con i rossi frizzanti di Lettere e Gragnano, sottozone della DOC Penisola Sorrentina, ottenuti da uve Piedirosso, Sciascinoso e Aglianico (per un totale di almeno il 60%). Briosi, fruttati, poco tannici e non particolarmente alcolici, sono vini versatili, da bere giovani e ben freddi. Rimanendo in tema bollicine, un accoppiamento fuori regione potrebbe essere quello con un Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC, oppure con un fermo ma speziato (tipica del vitigno è la nota olfattiva di pepe) Syrah rosato della costa Toscana.
L’AGNELLO
Veniamo quindi alla portata più simbolica (e controversa) della tavola pasquale. Elemento di congiunzione tra sacro e profano, tra religione e cicli della natura, il consumo dell’agnello a Pasqua ricorre un po’ in tutta Italia, sebbene la tradizione sia più sentita nell’area Appenninica, legata alla transumanza. Da qui arrivano gli agnelli del Centro Italia IGP, capi fino a 12 mesi allevati in tutto il territorio delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche, Toscana, Umbria e buona parte dell’Emilia-Romagna.
Sono invece capi più piccoli, allevati allo stato brado e nutriti solo con latte materno, l’agnello IGP della Sardegna e l’Abbacchio Romano, dove il termine abbacchio deriva dalla locuzione latina ad baculum, perché veniva legato a un bastone affinché non si perdesse. Già Giovenale lo descriveva come «il più tenero del gregge, vergine d’erba, più di latte ripieno che di sangue».
Cotta al forno, alla griglia o fritta, questa carne rosata, tenera e di buona grassezza, vuole vini rossi freschi, di corpo leggero, succosi e poco tannici. Restando nel centro Italia, troviamo compagni ideali nei fruttati Ciliegiolo della Maremma toscana oppure di Narni, in Umbria; nel Sangiovese di Romagna della zona più fresca di Modigliana o nei Cesanese del Lazio (del Piglio DOCG, di Olevano Romano DOC o di Affile DOC). Ottimo anche l’abbinamento con la Tintilia molisana o i Nerello (mascalese e cappuccio) dell’Etna.
LA COLOMBA
Concludiamo con la regina della tavola pasquale: la colomba. Un dolce meneghino replicato ormai in tutto il territorio nazionale, le cui origini sono in realtà piuttosto recenti. È nei locali dell’azienda dolciaria milanese Motta che, negli anni ’30, si ha infatti la geniale idea di marketing di inventare un prodotto sostanzialmente uguale al panettone, ma da consumarsi in un periodo diverso, massimizzando così l’uso dei macchinari. Nella narrazione aziendale, a sostenere la storicità del dolce è la leggenda legata all’assedio del re Alboino a Pavia nel giorno di Pasqua del 572, quando gli sarebbe stato offerto un pane dolce a forma di colomba, in segno di pace. A lanciarla sul mercato è, invece, nel 1936, la grafica di Jean-Marie Mouron, detto Cassandre, con un disegno del volatile-dolce che squarcia un cielo nero sotto lo slogan “il dolce che sa di primavera”.
Nella sua versione classica, come il panettone, trova il migliore abbinamento con spumanti dolci e aromatici quali il Moscato d’Asti DOCG, prodotto da uve Moscato bianco nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo, ma anche nei Colli Euganei Fiori d’Arancio DOCG, prodotto in provincia di Padova da uve Moscato giallo. Volando invece sul tacco dello stivale, da provare l'accostamento con i profumati spumanti dolci ottenuti da uve Minutolo della IGT Valle d’Itria, nella provincia di Bari, Brindisi, Taranto.