Alici e Grignolino, un amore di contrabbando
Un nuovo abbinamento tra ricette di pesce e vino rosso. Stavolta, il pesce più tipico del Piemonte (!) incontra uno dei suoi vitigni minori più antichi e amati dell’astigiano e dell’alessandrino.
Un nuovo abbinamento tra ricette di pesce e vino rosso. Stavolta, il pesce più tipico del Piemonte (!) incontra uno dei vitigni minori più antichi e amati dell’astigiano e dell’alessandrino. Sembra una delirante provocazione, ma vi assicuriamo che non lo è. E la storia ce ne dà contezza.
COSA LEGA LE ACCIUGHE AL PIEMONTE?
Bagna caoda, Bagnét verd, acciughe al verde, Salsa tonnata… perché nella cucina tradizionale piemontese si usano tanto le acciughe se, in Piemonte, il mare non ci sta? La risposta ce la dà la storia, e un libro (Il salto dell’acciuga, Einaudi, 1997) scritto dal giornalista torinese Nico Orengo, scomparso nel 2009, che si è prodigato per ricostruirla.
Ciò che avrebbe messo in connessione l’amato pesce azzurro con l’entroterra piemontese è il sale. O, meglio, il suo contrabbando. È una storia che ha inizio a partire dal XIV secolo, quando il sale, nelle aree interne del nord, scarseggiava, e il suo commercio era gravato da “salate” gabelle doganali.
Tutti gli scambi tra l’entroterra piemontese e la Liguria (ma anche la Costa Azzurra) avvenivano lungo la Via del Sale, una strada sterrata che tuttora collega le Alpi piemontesi e francesi al Mar Ligure, partendo da Limone Piemonte e arrivando, a seconda delle deviazioni, a Ventimiglia o a Sanremo.
Oggi questi suggestivi tracciati sono aperti al pubblico di sportivi, che ne apprezza la bellezza dei paesaggi, fatti di natura selvaggia, valichi alpini, tornanti e passaggi arditi, ma un tempo erano l’unica via, impervia, per approvvigionarsi di prodotti della costa. Sulla strada transitavano carri carichi di ogni bendidio, tra cui preziosi barili di sale. Gli elevati dazi sull’oro bianco, tuttavia, costrinsero i mercanti a uno stratagemma: camuffare la quantità di sale presente nei barili intervallandola con degli strati di alici, che in Liguria abbondavano e costavano poco.
Una soluzione che, oltre a creare già di per sé un condimento salato, rendeva trasportabile un prodotto altrimenti deteriorabile, le acciughe, ben presto molto amate dalle genti piemontesi, e non solo. Patria del mestiere di acciugaio, divenne, curiosamente, uno dei paesi più interni, Dronero, nel Cuneese, all’inizio della Val Maira, da dove i contadini, nei tempi morti del raccolto, partivano alla volta del mare con i caratteristici carretti azzurri per andare ad approvvigionarsi di sale e acciughe da rivendere poi in tutto il Nord Italia. Una tradizione talmente radicata che, nelle famiglie di acciugai più “storiche”, è rimasta in vita almeno fino agli anni ’60.
Oggi che, per fortuna, le acciughe fresche si trovano anche in Piemonte, vi propongo una ricetta sfiziosa – Tortini di alici e patate al finocchietto e pomodorini – da abbinare a un calice di un meno blasonato, per quanto molto tradizionale, vino rosso piemontese: il Grignolino.
IL GRIGNOLINO
Vitigno conteso tra l’Astigiano e l’Alessandrino, dove è ugualmente importante e presente nelle due rispettive DOC Grignolino d’Asti e Grignolino del Monferrato Casalese, lo si trova anche in minor misura nel resto delle langhe, dove ricade nella DOC Piemonte (oltre che in altre 4 DOC piemontesi meno rilevanti). Tante denominazioni per un vitigno la cui produzione è veramente ridotta (appena 2 milioni di bottiglie in totale) e il consumo relegato perlopiù a livello locale.
Tanto basta, però, a far capire quanto i piemontesi gli siano affezionati. Il motivo è semplice: è un vino che si fa bere facilmente e piacevolmente (un’ipotesi secondaria vuole che il suo nome derivi dal verbo “grignare” che in dialetto astigiano significa “ridere”), che non richiede lunghe attese (anche se sa invecchiare molto bene) e che si adatta a un po’ tutta la cucina casalinga quotidiana.
Si tratta di un vitigno storico, censito in Piemonte già in atti notarili del XII secolo, il cui nome deriva con buona probabilità da “grignole”, termine dialettale che indica i vinaccioli dell’uva, che nel Grignolino sono tre (invece che i soliti due), con conseguente maggiore cessione fenolica al vino. Ma niente paura, perché, se la maturazione del vinacciolo è ottimale, i tannini che cede sono molto dolci. Inoltre, la loro durezza, in questo vino, è tranquillamente “disciolta” dalla sua viva succosità, oltre che camuffata dall’abbondante corredo fruttato e floreale che caratterizza il Grignolino e che rimanda a viole, garofani, rose, ciliegie e frutti di bosco. Un calice, quindi, leggiadro e profumato, dal colore rubino brillante, da servire appena fresco e da apprezzare anche con piatti di pesce mediamente elaborati, come la ricetta che proponiamo.
LA CANTINA GARRONE
Nella provincia di Asti, l’azienda familiare Garrone Evasio & Figlio, oggi condotta dai fratelli Marco e Dante, con l'aiuto di Cinzia, moglie di Marco, è interamente specializzata nella produzione di vini tipici piemontesi, da uve Barbera, Grignolino, Freisa, Ruchè, Dolcetto e Moscato, che coltiva nei 12 ettari di vigneto di proprietà, distesi sulle colline del Monferrato astigiano e ripartite tra i Comuni di Grana, Montemagno e Castagnole Monferrato.
Il loro Grignolino d’Asti è prodotto a partire da una vigna di circa trent’anni, condotta a Guyot e collocata sulle dolci colline di Castagnole Monferrato, a circa 200 metri sul livello del mare. Dopo la vendemmia manuale, le uve subiscono una lieve macerazione, prima della sosta in acciaio. In degustazione il vino si presenta di un colore rosso rubino vivo e trasparente, con caratteristici sentori di viola, mirtillo e lampone, sensazioni vinose e un sottofondo appena speziato di pepe e chiodi di garofano. All’assaggio rivela un’acidità decisa e un tannino presente ma levigato, a garanzia di un corpo snello ma morbido, con retrolfatto scandito da ritorni fruttati.