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Cara mi costò quella acciuga

Acciughe e altri pesci poveri per una pesca sostenibile che tuteli la biodiversità dei mari e degli oceani. Iniziamo con il consumo consapevole di pesci azzurri, più locali e meno commerciali



Biodiversità: parola composta e bella, che incita alla differenza, che è vita. Salvaguardare la varietà delle vite è un nostro dovere, oggi più che mai. Così, per esempio, sappiamo tutti che gli oceani, i mari e le creature che li popolano vanno tutelati, ma spesso ce ne dimentichiamo.

Quando buttiamo i nostri rifiuti di plastica senza pensare ai danni irreversibili che facciamo agli ecosistemi marini, quando pretendiamo di mangiare pesce fuori stagione, quando ordiniamo al ristorante, o in pescheria, le solite specie e ignoriamo completamente l’esistenza di altre meno blasonate, pesci azzurri, pesci poveri e biodiversi, come le acciughe, la mormora, la razza.

WWF Italia ogni anno, nella giornata mondiale degli Oceani, lancia un appello facendo notare quanto la cura dei mari e degli oceani sia nelle nostre mani. L’inquinamento atmosferico e l’aumento dei gas serra, creati da molte attività umane, hanno provocato dei cambiamenti climatici importanti con un impatto devastante sugli ecosistemi marini.

Il riscaldamento e l’acidificazione delle acque, uniti alla distruzione degli habitat naturali dovuta a una pesca eccessiva e insostenibile, provocheranno shock ittici con conseguenze irreperabili non solo ambientali, ma anche economiche e sociali. Ecco perché occorre cambiare in fretta molte abitudini sbagliate che continuiamo a praticare.
La pesca sostenibile - biodiversità

Una pesca sostenibile e biodiversa è possibile

Per difendere gli habitat marini e la loro biodiversità è necessario limitare la pesca eccessiva praticata nei confronti delle specie più gettonate e di quelle catturate per sbaglio.

Bisogna preservare le comunità marine e il loro funzionamento, mantenendo inalterate la riproduzione e la crescita, pescando nei periodi consentiti, evitando scarti inutili e sistemi di cattura crudeli che compromettono gli ecosistemi, impoveriscono le risorse e favoriscono l’estinzione di alcune specie, quelle più richieste dal mercato.

Oltre alla pesca, anche il consumo deve essere più sostenibile: come? Rispettando la stagionalità, acquistando con consapevolezza, osservando la provenienza e dando priorità alle specie ittiche locali, ai pesci azzurri, ai pesci poveri, dimenticati che sono meno commerciali, ma sicuramente più sostenibili.
Le acciughe liguri

Più acciughe pesci azzurri, meno branzino

Le acciughe, per esempio, sono il prototipo del pesce sostenibile. pesce azzurro, povero e bistrattato per anni dalle cucine sofisticate, oggi l’acciuga è tornata alla ribalta.

Democratica, saporita ed eclettica, ha una forma sottile, agile, slanciata. Sebbene spesso sia confusa con la sardina, ne differisce perché ha un corpo più snello e di colore argenteo, con sfumature bianche sul ventre; una testa conica e una lunghezza media di circa 15 centimetri.

Pesce povero, ma ricco di nutrienti, proteine e acidi grassi (omega 3), l'acciuga è molto diffusa nell’Oceano Atlantico, ma popola anche il Mar Mediterraneo.

La sue versatilità la rende un ingrediente molto ricercato in cucina: dalla pasta al pane, alla pizza, la sua presenza conferisce una marcia in più al piatto.
Una cassetta di acciughe

Non esistono solo le acciughe del Cantabrico

Grasse e carnose, le rinomate acciughe del Cantabrico si differenziano dalle specie che popolano i mari italiani per le dimensioni, più grandi, e per il valore commerciale.

Oggi sono le star della gastronomia, ma il loro successo parla anche italiano. Sono stati i pescatori napoletani e siciliani, arrivati a Santona, a insegnare ai locali l’arte della conservazione delle acciughe sotto sale, in barili.

Tuttavia, il trend dell'acciuga del Cantabrico ha fatto sì che anche le acciughe italiane tornassero alla ribalta: da Sciacca, da Monterosso, da Menaica e da Cetara dove si produce la memorabile colatura.

Una notte su un peschereccio per pescare acciughe liguri

Che notte quella notte, dalle 20 di sera alle 8 del mattino, sul peschereccio Lupa dell’armatore Paolo (con 10 marinai), salpato dal porto di Sestri Levante, per pescare pesci azzuri come sardine e acciughe.

Pesci poveri, ma sostenibile e non sempre disponibili a restare in trappola nelle reti. Una nottata che mi ha fatto capire molte cose. Inanzitutto quanto poco sia remunerato il lavoro faticoso dei pescatori di quelle specie, che non sono considerate nobili come il branzino, il salmone, il tonno, il merluzzo, l’orata. Pesci di cui ormai il pescato di mare è assai cosa rara, quasi tutto arriva dagli allevamenti.

Durante questa notte ho capito anche quanto il consumatore sia poco istruito sui pesci poveri. Conosce solo le specie ittiche più commerciali: tutto il resto, cioè quello di miglior qualità, viene disprezzato, sia l'acciuga, il baccalà o lo stoccafisso.
Davide Paolini scarica una cassetta di acciughe dal peschereccio
L’esperienza sul Lupa mi ha risolto il mistero, mentre assistevo al ritiro delle reti, di un verso di De Andrè quando canta: “le acciughe fanno il pallone che sotto c’è l’alalunga...” Una metafora perfetta. Il ritorno in banchina è stato ancor più sorprendente e tutto sommato amaro perché mi sono reso conto di quale situazione oggi vivano i pescatori (come gli artigiani del cibo).

Una cassetta di acciughe liguri di circa 8 chilogrammi pagata 5 euro (nella notte più o meno sono state pescate circa 500 cassette). Una miseria! Il mio pensiero è corso subito al prezzo con cui vengono vendute, anche in Italia, le acciughe del Cantabrico, oggi must della gastronomia.

Durante un pranzo al Bar Brutal di Barcellona, un’acciuga, ripeto “una”, è costata 7 euro. Certo, quelle acciughe della Lupa devono essere salate e dissalate, ma perché la materia prima ovunque è così vilipesa? 

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