Sostenibile quel vino
Linguaggio vinicolo: le parole del vino rispecchiano una trasformazione dei consumi e delle mode. Quale sarà il prossimo?
L’evoluzione del linguaggio offre un fotogramma dei diversi momenti che segnano il costume, a cominciare dalla cucina, dal design, dalla moda, dalla letteratura, dal vino.
Il linguaggio vinicolo nel tempo
Il cambiamento dei termini segna periodi definiti che incidono sui consumi e sulle mode. Si pensi a metà degli anni Ottanta, dopo lo scandalo del metanolo, quanto abbiano influito in Italia l’arrivo di vagonate di barrique dalla Francia.
Quei vini dei falegnami hanno marcato un’epoca di trasformazione del gusto e della produzione. L’aggettivo barricato (forse un neologismo?) è entrato a far parte del linguaggio vinicolo, sconosciuto fino allora, ma sufficiente a definire un vino con precise caratteristiche legnose.
A seguire l’aggettivo, eccoti “fruttato” che ha inondato le cantine da nord a sud: parola d’ordine all’inizio degli anni Duemila che ha fatto credere ai non addetti che esistesse un vino fatto con la frutta.
Nel frattempo è stato scoperto che il patrimonio vitivinicolo italiano possedesse 400 e oltre vitigni autoctoni, così il messaggio è stato di barra dritta verso la riscoperta del passato. “Autoctono” è diventato un vero e proprio tam tam. Poi è spuntato bio, non c’è stato prodotto che non fosse bio.
Quale sarà il prossimo?
Quasi contemporaneamente, eccoti piombare nei discorsi vinicoli l’aggettivo “naturale”, subito arrestato in un’enoteca a Roma perché fuori legge, colpevole di non si sa bene quale reato letterario: che sia blasfemo? Quale sarà il prossimo aggettivo o termine che girerà tra i numerosi stand del Vinitaly e, di conseguenza, nella comunicazione?
Il mio pronostico è sostenibilità o impatto zero, già ci sono fremiti e sentori, ma cos’è la sostenibilità nel vino, un sostantivo dell’Expo?