Lo hanno battezzato vegano
E l'aggettivo vegano si aggiunge all'elenco dei qualificativi del vino
Il linguaggio del vino
Le parole che diventano precetti di epoche vinicole: barricato, autoctono, bio, bio al quadrato (biodinamico), naturale (speriamo di non venire censurati). Arrivato all’aggettivo blasfemo mi sono bloccato perché il nuovo verbo “addavenì”.
E, nel concorso quale sarà la parola del futuro, il mio voto è andato a “sostenibile”. Ma, dopo aver girato in lungo e in largo i padiglioni del Vinitaly, dove ormai ci sono i ghetti (prendetelo in senso figurativo): i vini bio, i vini cosidetti naturali, i vini Fivi (che testimoniano appunto la mia tesi delle “parole che muovono il vino”), ho capito di aver toppato di grosso.
Ho visto solo qualche rara scritta “sostenibile”, parola sulla quale avevo puntato la settimana scorsa. Dopo il Vinitaly, le mie preferenze corrono, quale star degli anni a venire, a quel vino etichettato come “vegano”.
Saranno questi rossi e bianchi in testa alla hit parade del nuovo che avanza? A quanto mi hanno spiegato alcuni valenti enologi, le uniche sostanze animalesche utilizzate nella produzione di vino possono essere la caseina e l’albumina, rimedi d’antan che servono a rendere limpidi i rossi e i bianchi grazie alla capacità di catturare le particelle in sospensione.
Vino vegano
Però le diciture in etichetta “contiene uova e derivati” e “contiene latte e derivati”, guarda caso, sono obbligatorie dal giugno 2012, così come per i solfiti (allergeni). Dunque c’è davvero bisogno di definire il “vino vegano”, quando da oltre tre anni c’è un obbligo appunto di dichiarare le sostanze di origine animale? Torniamo all’inizio del nastro: confermo, sono le tendenze a partorire le parole che poi muovono il mercato, vegano è l’ultimo esempio.
La definizione di vegano, a quanto pare, viene ritenuta più efficace degli avvertimenti in etichetta sull’utilizzo di derivati da lattosio e uova che potrebbero provocare allergie. Quale sarà il prossimo vino da “comunicazione”?
Un’idea ce l’ho!