Cibovagando in Emilia Romagna
La regione di Artusi è esempio della “biodiversità della tavola” imbandita di fantasia e manualità
È uno stile di vita, quello orientato alla qualità del cibo, che accomuna ogni provincia sia emiliana che romagnola ma che, curiosamente, non si traduce in monotona uniformità: qui possiamo davvero riscontrare ciò che viene oggi con tanto clamore chiamata “Biodiversità della tavola”. C’è infatti una grande varietà sia tra i salumi che tra i formaggi, e perfino nella tradizionale pasta fatta in casa. Proprio intorno alla pasta si potrebbe scrivere un trattato dove mostrare come, nel raggio di pochi chilometri, la fantasia abbia giocato un ruolo davvero unico con la stessa base: farina, acqua, uova e sale.
La pasta fresca ripiena
L’anolino parmigiano, infatti, percorsi pochi chilometri diventa tortellino a Bologna, si trasforma in cappelletto prima nel Piacentino poi nel Forlivese quasi per una magia della fantasia e della manualità. Il novero delle paste è vasto al punto che gli stessi abitanti della regione, quando vanno fuori delle loro mura, restano sorpresi magari di fronte agli stricchetti romagnoli o a cappellacci. E a proposito di queste paste di forme diverse, ma dal nome che tradisce l’origine comune, scatenano querele furibonde sui ripieni, diatribe che spesso tirano in ballo il guru romagnolo di Forlimpopoli, Pellegrino Artusi: c’è chi li riempie con Parmigiano Reggiano, chi con il formaggio di fossa, chi ancora con il raviggiolo. Chi sceglie la mortadella e chi ancora il prosciutto di Parma o il lombetto di maiale (tutti giacimenti rigorosamente emiliano romagnoli). È bene sottolineare comunque che il divino Artusi nel suo celebre ricettario è stato molto influenzato dal suo sciacquare panni in Arno (Firenze) e dai suoi aiutanti di origine Toscana. Ma i romagnoli sono fieri di questo personaggio che ha dettato legge nella cucina italiana (il suo libro veniva inserito nel corredo matrimoniale delle spose).
I salumi
Non è comunque una terra “pastocentrica”, ma può forse definirsi “porcocentrica”: il maiale è infatti presente dappertutto con un evidente prevalenza dell’area emiliano-parmigiana-modenese, dove la gamma delle specialità è davvero sorprendente: non solo prosciutto e culatello, ma una serie di diversi salami, da quello di Castelnuovo Monti, al crespone, dal cresponetto allo strolghino, dal ciavarro (o salsiccia matta) al salame piacentino, per continuare con il salame di Ferriere e la pancetta di Casina.
Sempre dal maiale, arrivano i rarissimi vescovo e prete, la sempre più introvabile spalla di San secondo con l’osso, lo zampone, il cotechino, l’originale salama da sugo ferrarese (città dove il pane è un’arte chiamata cornetto, da cui “cornetto e salama” che sostituiscono il tradizionale pane e salame).
I formaggi
Alla straordinaria abilità nella lavorazione del maiale si affianca l’arte della lavorazione del latte: questo è il regno dei casari, conosciuto per il Parmigiano Reggiano e, in misura minore, per lo stesso prodotto ottenuto dal latte delle mucche rosse reggiane, così come per robiola di Morfasso, il raviggiolo dell’Appennino tosco-romagnolo, il formaggio di fossa di Sogliano sul Rubicone, lo squacquerone (o squacquarone, parola onomatopeica che richiama l’aspetto del prodotto, cioè squagliato). Prodotti che spesso sono combinati con savor, la conserva (la mostarda fine di Carpi è ormai introvabile) ottenuta in Romagna con il mosto d’uva e l’aggiunta di frutta secca; o accompagnati dall’aceto balsamico tradizionale di Modena (i formaggi stagionati) o, ancora, coperti da un goccio d’olio extravergine di oliva di Brisighella.
Una regione porcocentrica, pastacentrica, lattocentrica ma con un mare che offre quel pesce azzurro, di cui il domani è certezza, così come per la razza bovina romagnola e per quella suina con la mora romagnola. E dulcis in fundo: la spongata e la Torta Barozzi, prodotta in quel di Vignola, terra famosa per le ciliegie.