Domodimonti, la cantina sostenibile nelle Marche
Domodimonti: enoturismo, accoglienza sostenibile e di qualità a Montefiore dell’Aso
- Domodimonti, una cantina sostenibile nelle marche
- Il territorio
- La produzione: dall'uva al vino
- Il pranzo
- Contatti
Capita di dimenticare ━ o forse ignorare ━ come il volume delle radici di un albero sia speculare alla sua parte aerea. Un apparato sotterraneo potente, esteso fino a quattro volte la proiezione della chioma, che assicura forza e vitalità alla pianta.
Accade lo stesso agli uomini e alla loro storia, quando si realizza quanta energia potenziale si annidi nel passato, nei luoghi e nelle persone che ci hanno preceduto.
Domodimonti, una cantina sostenibile nelle Marche
Così è stato per la famiglia Bellini, che dal Canada ha riscoperto la meraviglia del proprio territorio di origine e deciso di fondare nelle Marche Domodimonti Winery.
Impresa animata da quella vitalità incastonata nel sottosuolo, che dal 2013 opera sulle colline di Offida, a pochi passi da Montefiore dell’Aso. Uno di quei minuti borghi del centro Italia che decorano le colline come merletti di pietra e punteggiano un paesaggio ancora integro e solido.
Il disegno architettonico della cantina ne tutela la pienezza, aprendosi come una feritoia appena visibile nel fianco della collina. Le radici segrete degli spazi si sviluppano al di sotto della linea d’orizzonte, dissimulate nei toni pacati della terra e delle vigne.
Il territorio
In viaggio da Roma, in una giornata di metà ottobre accesa di luce, lambiamo le cime già innevate del Gran Sasso e raggiungiamo la linea azzurra dell’Adriatico.
Poi risaliamo un poco, tra tasselli di pascoli e ulivi che rinforzano una grande verità: il vino buono riesce soltanto nei posti più belli. E quando maneggiato dalle persone più appassionate, come Davide Galosi, l’enotecnico che ci conduce alla scoperta dell’azienda.
A orientare ogni scelta programmatica sono i principi della sostenibilità ambientale, perseguiti in piena autonomia energetica e minimo impatto grazie al fotovoltaico e alla depurazione delle acque reflue. Valori funzionali anche all’ottenimento di un prodotto puro e organico.
Nel 2018 la cantina ha infatti ottenuto la Certificazione da agricoltura biologica, ulteriore timbro sull’affidabilità con la quale vengono condotte le fasi della produzione. Dall’impianto dei vitigni e la lavorazione delle vigne, fino ai processi produttivi in cantina e all’imbottigliamento.
La produzione: dall'uva al vino
Il savoir-faire di chi abita questi luoghi da generazioni ━ vocati da sempre all’enologia, ma passibili di nuove interpretazioni ━ sostiene l’utilizzo di tecnologie raffinate, che regolano ogni passaggio successivo alla vigna.
Lì, “naturalmente”, tutte le operazioni restano condotte a mano. 35 ettari coltivati con perizia e meticolosità, per una produzione di 80.000 bottiglie suddivise in sette linee, che assaggiamo in una sala a pochi passi dalla bottaia: un suggestivo anfiteatro ipogeo, dove va in scena il rito lento e silenzioso dell’affinamento in barrique.
Davide ci spiega come gli autoctoni Passerina, pecorino e Montepulciano siano di volta in volta combinati con campioni internazionali del calibro di Merlot e Petit Verdot. Riaffiora dunque la missione dei Bellini, che muove dalla specificità del territorio e riesce a parlare a un pubblico internazionale.
Uno spumante, due bianchi e quattro rossi riflettono la storia dei fondatori a partire dalle etichette stesse, ciascuna legata a un aneddoto o a una piccola storia familiare. Tie, lo spumante brut da Passerina metodo Charmat, conquista al primo brindisi, come ci si aspetta da una buona bollicina in una giornata come questa. Fine e persistente nel perlage, festiva e armoniosa, con aromi di fiori bianchi e mela.
Sui bianchi ci si stupisce per la sapidità un po’ spregiudicata del Passerina Déjà V e si gongola per il naso elegante e fiorito del Pecorino Li Coste, combinazione di effluvi marini e leggero passaggio in barrique. Una piccola e ritmata scalata, quella dei rossi. Si parte dal rubino e frutti di bosco dell’ iAM (Merlot, Petit Verdot e Montepulciano) per conquistare pienezza e corposità nelle spezie del Passione e Visione, un Petit Verdot in purezza opulento e balsamico unico in questa regione.
Il pranzo
Posiamo per un momento i calici e ci spostiamo pochi tornanti più in alto, dove un precedente rustico è stato convertito in foresteria di grande charme. Una stanza per ciascuna etichetta, una piscina a sfioro che fa scivolare lo sguardo verso il mare e una grande sala da pranzo con cucina a vista.
Per qualche ora è il terreno di chef Errico Recanati, che all’Andreina di Loreto ha lasciato griglie e braci vive, riuscendo ugualmente a infondere, in questo pranzo speciale, il marchio di una cucina ancestrale benché raffinatissima.
Anche Recanati protrae ed evolve una storia familiare di accoglienza e ristorazione sul territorio, in un settore delle Marche cinto dai Sibillini e aperto sull’Adriatico, particolarmente generoso specie nel cuore dell’autunno. Al pass, e poi sulle nostre tavole finalmente numerose e vocianti, una successione di piccoli piatti precisi e rotondi.
Una quenelle di ricciola dalla leggera marinatura con riduzione di Montepulciano, salsa ponzu e insalatina di erbe spontanee a regolare di amaro. Un tataki di tonno accarezzato da una vellutata maionese alla senape selvatica e un’attesissima ostrica alla brace con salsa di pesche tardive della Val d’Aso. È uno dei piatti identitari dello Chef, che dichiara con vigore e al contempo eleganza uno stile votato al fuoco e al fumo: boccone scioglievole e scivoloso, dolcezza e acidità, retrogusto di brace.
Dal mare si passa ai cortili dei primi Appennini con il sontuoso risotto alle castagne, faraona e cachi, finito da un dripping del fondo di volatile. Qui si parla di cucine antiche, cotture lentissime e attese pazienti. Di mitezza autunnale. Chiudiamo con il carpaccio di ariete affumicato, che Recanati affetta e guarnisce davanti a noi con una salsa verde di alici e prezzemolo e pochi, preziosissimi, corbezzoli.
Come tutti i frutti di questa stagione conferiscono una dolcezza misurata e confortevole, coronando un piatto di per sé intenso e rurale. Ugualmente confortevole e domestica, e insieme golosissima, la ciambella all’anice farcita con crema al mosto e cioccolato. Da mangiare con le mani, poi riprenderne ancora, ché nelle cose belle, buone e solide vale la pena affondare mani, radici e pensieri.
(Foto: Alberto Blasetti)
Contatti
Domodimonti Srl – Società Agricola
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