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San Biagio: una festa per la gola

Viaggio in Italia per curiosare sulle tradizioni gastronomiche legate al santo armeno


Il 3 febbraio è la festa di San Biagio, medico e vescovo di Sebaste, vissuto tra il III e il IV secolo d.c., morto da martire e santificato. La sua figura è associata a diversi aneddoti. La leggenda più diffusa riferisce che un giorno una mamma portò al cospetto del santo il figlio che stava per essere soffocato da una grossa lisca di pesce. Biagio riuscì a salvarlo facendogli mangiare una grande mollica di pane. Da allora viene riconosciuto universalmente come protettore della gola e durante la giornata a lui dedicata, tradizione vuole che «se benedis la gola e él nas». Il culto del santo ha avuto una grande diffusione in Italia innescando tante abitudini gastronomiche a lui legate. Ecco qualche esempio.

Partiamo da Milano dove ci ha incuriosito l’iniziativa del mastro pasticcere Nicola Fiasconaro di Castelbuono (PA) che per la festa di San Biagio organizza, in diversi punti vendita della città, un tour di degustazione gratuita del suo nuovo panettone King (con canditi freschi di arance del suo territorio, farina di grano siciliano, pregiata uva sultanina aromatizzata con la Malvasia delle Lipari). L’obiettivo è quello di omaggiare la cultura popolare meneghina che intreccia la memoria del santo al dolce milanese per eccellenza,  il panettone. Anche questa congiunzione non è casuale: un altro aneddoto la giustifica. La leggenda vuole che una massaia, durante il periodo natalizio, lasciò il panettone a un frate perché lo benedicesse. Il frate non resistette alla tentazione di mangiarlo, ma quando la donna tornò a prendere il suo dolce, il panettone misteriosamente ricomparve. Era il 3 febbraio e, da allora, ogni anno durante questa giornata nel capoluogo lombardo, per ricordare la miracolosa vicenda, si è soliti consumare il panettone secco, avanzato dalle feste natalizie.

Rimanendo in Lombardia, ci spostiamo nel borgo medievale di Cavriana, in provincia di Mantova dove, in occasione della festa del santo, da oltre 450 anni continua la tradizione contadina di preparare e di offrire a parenti e amici la torta di San Biagio, le cui origini risalgono al Rinascimento. Nel corso degli anni ogni famiglia ha tramandato alle generazioni successive la ricetta, personalizzandola e arricchendola. Nonostante le varianti orali del dolce, gli ingredienti base sono rimasti costanti: farina di frumento, zucchero, uova, mandorle, vino bianco, strutto, cioccolato fondente, amaretti, succo di limone e anice. Per rafforzare una comune identità territoriale, fino a poco tempo fa ogni famiglia cuoceva la torta nel forno collettivo del paese.

Scendendo verso l’Italia centrale, facciamo tappa a Pietrasanta, in Toscana, dove la fiera di San Biagio è legata a uno dei prodotti più rinomati del capoluogo della Versilia: il marzapane. La produzione del marzapane (e dei marzapanini) di Pietrasanta risale a una tradizione atavica. Un tempo la sua fama era connessa alla Fiera di San Biagio, durante la quale agli abitanti dei borghi versiliesi delle montagne vicine, venuti in città per rendere omaggio al santo, era offerta una fetta di marzapane.

La festa di San Biagio non è caratterizzata solo da una cucina dolce. Esiste un piccolo comune lucano, Cancellara in provincia di Potenza, in cui il 3 febbraio in onore del santo armeno, protettore del paese,  vengono organizzate delle kermesse gastronomiche salate. Oltre alla distribuzione del pane, in concomitanza con questa giornata si organizza la sagra della lucanica, la salsiccia dalla forma intrecciata fatta con carne e grasso di suino, peperoni cruschi, sale e finocchietto selvatico. Benché diverse regioni italiane si contendano le origini, secondo attendibili autori latini, i soldati Romani appresero a realizzarla dai Lucani, da cui deriva l’etimologia del nome.

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