Milano: Casa Ramen è Super!
Non solo ramen nel nuovo laboratorio dove Luca Catalfamo esprime tutta la sua arte dello spadellare
Le costine di Maiale di Luca fanno lacrimare il cervello. Giuro vorrei spararmi quel diavolo di sughetto in vena, altro che scarpetta giapponese fatta di riso e alghe con il quale te le serve ridendo sotto i baffi.
Due passi fuori dal locale e ne sento subito la dipendenza, sale la scimmia e cerchi di capire quando e con chi tornarci. secondo me le renderanno presto illegali. Giustamente, aggiungerei. Anche perché si toccano dei punti di umami vero, quasi immorali per questa città.
Volevo fare le foto dei piatti e queste cazzate da entusiasta del food, ma non ci sono riuscito. Ero davanti alla cucina a vista, nuova di zecca, dello chef che ha lanciato il ramen in Italia e continuavo a pensare che tutti i successi, la gloria, i riconoscimenti che ottieni diventano prigioni dorate. Se non fuggi, o meglio ti sposti di qualche metro più là, magari rimani sotterrato da quello che tu stesso hai creato.
Casa Ramen Super
E Luca è fuggito da tutto questo, si aperto la versione Super di Casa Ramen ed è ripartito da zero, non prima di aver formato uno squadrone pazzesco a Casa Ramen in grado di mantenere i suoi standard e dare da mangiare a tutti quelli che hanno la pazienza di fare la fila e aspettare il proprio turno, maestro Marchesi compreso.
Lo spazio
Mister Catalfamo si è costruito uno spazio dove pensare, esprimersi, cucinare. Pochi tavoli, essenziali come il suo nuovo ramen versione super, arredamento minimale, eleganza fashion punk che ben si sposa con questa cucina un po’ manga e un po’ heroin chic.
Certo, Luca con la sua barbetta e la sua battuta pronta non assomiglia di certo a Madre Superiora (Johnny Swan, lo spacciatore di lunga data del film Trainspotting), ma fidatevi vi fa sedere sulla sedia e incomincia a rullarvi il palato con questa fusion giappo calibrata e dosata al millimetro. Sembra un personal drugger che accompagna le star durante le serate di follia, ti combina sul palato sapori e contrasti veri, brutali, strambi.
Le costine
Le costine sono porche e vietate, morbide e peccaminose. Al secondo morso ti viene voglia di confessarti e metti la sveglia per andare a correre 10 km la mattina dopo. Con il senso di colpa in bocca, vi presenta un’insalata giapponese di stagione con tanto di bandierina con un punto di salsa rossa piccante al centro e tu pensi: questo mi sta prendendo per il culo e mi chiede 9 euro per delle erbette da coniglio?
Poi l’assaggi e allora capisci che il tuo spacciatore di Ramen di fiducia è uno che non scherza affatto. Credo abbia inventato un popper di cetriolo, che usa per condire queste delizie amare che ti s’infilano nei denti e ti cascano dalle bacchette mentre cerchi di sgranocchiare la radice di loto croccante. Una botta e via, e sei lì che bruchi come una capretta felice con quel chimico in bocca e il salatino della vinagrette di soya.
La quaglia panata
Poi, mentre l’insegna al neon con scritto Super ti confonde, atterra una quaglia panata con una speziatura piccantella che ti scioglie d’amore e ti senti umido, stavolta complice non colpevole. Ti vien voglia di baciarla e allora molli le bacchette e ti ricordi che quel cosciotto ha un osso e abbandoni l’educazione e usi le dita, sgranocchi e godi. E, se non lo fai, stai a casa tua, qui ci si sporca le mani.
Il Soya Ramen
Il raviolo non m’entusiasma e poi continuo a sentire la quaglia che svolazza e pulsa nella mia mente e sono talmente innamorato che passa tutto inosservato. Poi arriva il Soya Ramen e capisci che lo chef non scherza, non clona ristoranti. Qui sta dando un punto di vista diverso su quell’oggetto non ancora identificato per molti che ha portato lui in Italia: il Ramen.
Cerca l’essenza nel suo laboratorio privato, si concentra sul brodo e quando becchi la carne di pollo o l’anatra sei finito, spacciato e gli assicuri mentalmente la certezza di contribuire al mutuo che è servito per costruire questo nuovo postaccio.
Oki Chef, avrai la mia parte! La cucina a vista è bellissima e ti vien voglia di cucinare con loro. Perché in brigata cucinano, non sono attori come nei format cavalletta che stanno invadendo Milano.
Io non ho preso vino o birra, voi prendeteli, mi sono tenuto le papille sobrie perché c’era presagio di sapori unici nell’aria. Non riesco a staccare gli occhi dalle mani dello chef che vive ogni suo piatto come se fosse l’unico, mani finalmente libere in uno spazio degno per esprimere la fantasia.
E lo vedi sorridere alla sua ragazza che entra a salutarlo mentre cucina in mezzo a voi, con naturalezze e senza la spocchia stellata, lo vedi felice. E la felicità è un fuoco pazzesco su cui spadellare.
Vi consiglio di non fare foto al cibo, o voi che entrate, cercate di capire cosa stanno facendo, dove si stanno spingendo. E non andate per ritrovarvi Casa Ramen 2, andate per capire un cuoco, il suo viaggio e dove vi vuole portare, piatto dopo piatto.
E se ne capirete l’essenza, sarete fermi, in fissa a pagare, affascinati davanti alla sua cucina. Sarete lì buoni buoni, senza togliere gli occhi dai gesti di Luca mentre impiatta, con il rammarico di non aver provato quella fottuta melanzana innondata di salsa che sta preparando di fronte a voi e vi fa smascellare anche se la panza è già piena.
Bravo ragazzo, fai il cazzo che vuoi tu.