Altriménti Milano, non il solito bistrot
Il ristorante Altriménti, in zona Citylife a Milano, è nato per proporre un'alternativa ai soliti bistrot. In cucina lo chef Pantaleo Daddato e in sala il maître sommelier Damian Piotr Janczara
- Altriménti a milano, in zona citylife
- Chi è lo chef del ristorante altriménti
- Chi è il resposabile di sala?
- Cosa si mangia
- Contatti
Quando mi sono trasferita a Milano, da Bologna, vivevo la città in modalità settimana corta e non vedevo l’ora che arrivasse il venerdì per tornare nel capoluogo emiliano. Con il tempo poi a Milano mi ci sono abituata, ho iniziato ad amarla, soprattutto perché ho imparato a conoscerla attraverso i quartieri che avevo scelto come dimora. Lambrate prima, via Padova poi.
Ammetto che ancora oggi, dopo quasi dieci anni, mi sposto malvolentieri dalla mia comfort zone e, se lo faccio, il motivo è quasi sempre lo stesso: scoprire un ristorante o un luogo che gravita attorno alle parole cibo e vino. Così, quando Davide (il mio boss) mi consiglia di testare un locale che da poco ha cambiato chef, in via Monte Bianco, controllo sulla mappa la distanza da casa mia a Citylife: una cinquantina di minuti in bici.
È domenica, il tempo regge, si può fare. Percorro trasversalmente un bel pezzo della città con un sole debole che non scalda, ma l’aria frizzante mi dà la giusta carica per affrontare un pranzo che, dalle poche informazioni di cui dispongo, sembra promettere bene. Sfreccio tra i palazzi di Corso Venezia, incrocio il Castello Sforzesco e la Triennale: la bellezza mi riempie gli occhi.
Altriménti a Milano, in zona Citylife
Arrivo in zona Citylife, che qualcuno collegherà ai Ferragnez, ma che nella mia mente è associata solo al centro vaccinazioni anti-covid. Penso a quanto possa essere stata dura per un ristorante aperto di recente sopravvivere ai tanti lockdown.
Altriménti è uno di quelli che la ha sfangata, alla grande. E in un periodo pieno di incertezze sul futuro è ancora lì a dimostrare che niente può scalfire un progetto in cui si crede veramente. Da settembre 2021 ha rinnovato il personale, ma è rimasto fedele al suo nome e all’obiettivo per cui è stato pensato: proporsi come una alternativa al concetto di bistronomia milanese mainstream, con poca personalità e senza identità.
Eugenio Boer, che lo ha concepito (insieme al maître sommelier di Essenza, Damian Piotr Janczara), è uscito. Anche lui è qui a pranzo e dice che ora lo frequenta solo da spettatore. È soddisfatto per i piatti che ha mangiato e si complimenta con il nuovo chef, Pantaleo Daddato.
Chi è lo chef del ristorante Altriménti
Pugliese, di Bisceglie, classe 1988, proviene dalla scuola di Aimo e Nadia, da cui ha iniziato come commis tanti anni fa, fino a diventare chef del bistRo, "ho fatto esperienza in altre cucine, in Francia, alle Calandre, ma poi sono ritornato da Aimo e Nadia perché mi rappresentava di più”.
La cifra stilistica è infatti quella. Piatti puliti, con ingredienti riconoscibili e un’attenzione maniacale alla materia prima, che è ricercata con scrupolo e che non deve essere coperta dall’estro del cuoco, semmai esaltata dalla sua mano e dagli abbinamenti giusti.
“Noi cuochi siamo al servizio della materia prima, dobbiamo fare da tramite; rispettandola, non avvilendola. Per me il piatto deve essere puro e per costruirlo ci vuole una conoscenza profonda del prodotto perché devi sapere come trattarlo. Il cibo parla e noi professionisti abbiamo il compito di educare il cliente: deve rendersi conto di quello che mangia. Dopo la pandemia la ristorazione sta andando in una direzione diversa: meno creatività, più sostenibilità e cura del prodotto”.
Chi è il resposabile di sala?
Mi basta sentire poche frasi di Leo Daddato per capire la sua filosofia culinaria, basata su un concetto molto netto di purezza, che emerge anche dal menù di Altriménti. La suddivisione standard tra antipasti, primi e secondi cade per lasciare spazio a una proposta più snella, con tre alternative (verdure, carne, pesce) espresse da piatti leggibili, in cui poi trovi effettivamente quello che ti aspetti.
La sala, con circa 25 posti a sedere (più un privé e un dehor), tavoli di legno, archi a volta e le pareti tappezzate da illustrazioni, è luminosa e confortevole, nelle mani del maître Damian Piotr Janczara (uno dei soci del locale) che, da subito, si rivela un ottimo padrone di casa.
Polacco, da 14 anni in Italia, classe 1988 anche lui, tanta competenza acquisita sul campo, da autodidatta curioso e appassionato. Ti accoglie con il sorriso, ti fa sentire a tuo agio, spiega in maniera dettagliata ogni piatto, si sofferma sul prodotto e sulla sua provenienza.
Cosa si mangia
In attesa del primo, piccoli sfizi arrivano dalla cucina: il purè di carota di Polignano è la quintessenza della purezza: non contiene nulla, oltre all’ortaggio, perché la carota di Polignano, in quanto coltivata con acqua marina, ha già una sua sapidità insita, non ha bisogno di sale, ma solo di essere esaltata dal giusto accompagnamento che si concretizza nei marasciuoli (cicorie selvatiche).
“Scelgo spesso il selvatico perché ha un gusto più autentico”, precisa lo chef. Il pane è del brianzolo Del Mastro, viene servito con l’olio extravergine Viola, di Foligno. La focaccia e i taralli sono fatti a mano dalla brigata, il quadretto di pane integrale è insaporito con lardo pestato e sommacco.
Lo spaghettone Gerardo di Nola (19 euro) è cremoso per la mantecatura con un fondo di cipolla di Acquaviva, ha un sapore molto marino perché condito con garusoli e la borragine dà la parte vegetale e la croccantezza. Diversamente da quanto riportato nel menù, nel piatto mancano le canocchie per il fermo pesca.
Il secondo è un ricordo d’infanzia dello chef. Un pesce spatola arrotolato e cotto a vapore, con prezzemolo e limone (28 euro). La delicatezza della cottura è rinfrescata dall’agrume e dalla presenza di tenerissime cime di rapa, condite con limoni canditi, composta degli stessi e polvere di ceci, come contorno. La scelta di valorizzare un pesce povero e poco battuto mi riempie di gioia: “la spatola è un pesce dimenticato, che non compare spesso nelle carte dei ristoranti, ma è anche difficile da pulire, non basta sfilettarlo, ha una doppia lisca, devi dedicargli un po’ di tempo”, mi spiega Pantaleo.
Sono le 14.30, fuori c’è ancora il sole e dentro inizia a farmi caldo. Mi sposto nel dehor con il mio calice di Guccione 1516 (38 euro), produttore che apprezzo molto e vino che ha retto egregiamente il pranzo. Arriva il dessert. La tartellette, una crostatina di farina di riso senza glutine (9 euro), è un piccolo scrigno di Biodiversità italiana: alla base una marmellata di arance amare liguri, in superficie crema di mela e cioccolato bianco con al centro una gelée di mandarini di Palagiano decorata con zest di limoni della costiera e di bergamotto calabro, fiori di camomilla tritati a mano sparsi.
Dalla cantina, curata da Damian, arriva una carta dei vini ben fatta e non scontata, con circa 400 etichette suddivise tra tutte le regioni italiane, Francia, Austria, Germania e Spagna. Con un occhio di riguardo ai vignerons indipendenti e alle piccole, e spesso sconosciute, realtà resistenti.
Esco da Altriménti con un solo rimorso: l’agnello sambucano con cimmarelle, cotognata e spuma di pecorino sardo. Penso ai sapori che mi sono persa, non ordinandolo, e spero di ritrovarlo nel prossimo menù.
Contatti
Altriménti Milano
Via Monte Bianco 2/A
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