Frutti dimenticati, frutti indimenticabili
Un libro che vuole rendere omaggio alle tantissime specie di alberi da frutto che popolavano la Romagna di un tempo
“Nel 1396 nella corte di Astorre Manfredi, signore di Faenza, nacque una disputa su quale fosse la migliore tra la mela appiona di Firenze e la mela da rosa della campagna faentina […] La mattina del 19 ottobre 1506, nel corso di un faticoso trasferimento da Forlì a Imola attraverso le strade della montagna, Papa Giulio II e il suo corteo sostarono a Palazzuolo, nella Romagna fiorentina. Quel piccolo comune offrì al pontefice e al suo seguito una frugale colazione con pane, vino e pere spadone […] Nell’orazione La Valle del Senio del 1837 Vincenzo Ballestrazzi cita tra le specie vegetali più diffuse il cornio e l’irsuto corbezzolo”.
Attraverso questi e altri frammenti estrapolati dai suoi ricordi personali, dalla letteratura, dalla cronaca e dalla storia, Graziano Pozzetto nel suo ultimo libro Frutti dimenticati frutti indimenticabili rende omaggio alle tantissime specie di alberi da frutto che popolavano la Romagna di un tempo. Il nome vuole essere un esplicito richiamo all’orto dei Frutti Dimenticati creato nel 1990 a Pennabilli da Tonino Guerra. Un orto, un giardino, o meglio ancora un museo dei sapori, nato con lo scopo di non dimenticare il gusto di quelle piante autoctone e ormai scomparse, che stavano addosso alle vecchie case di campagna.
Azzeruolo, biricoccolo, giuggiolo, mandorlo, avellano, sorbo, nespolo, fico verdino, corniolo e un’ampia varietà di mele e pere: un patrimonio di Biodiversità che fino all’ultimo dopoguerra ha sfamato generazioni di contadini romagnoli. Frutti che si mangiavano al naturale direttamente dall’albero o seduti ai suoi piedi magari con un pezzo di pane; strumento di sopravvivenza con cui affrontare la frugale e ripetitiva alimentazione invernale. L’ autore va a ritroso nel tempo, ritorna alla sua infanzia in un paesino di campagna della Bassa Romagna e ricorda le sue “esplorazioni gratuite” in una realtà naturale e misteriosa “ad arrampicarsi sugli alberi, ad appendersi ai rami […], a recuperare i frutti per metterseli in tasca o mangiarli prontamente con gioiosa e scomposta avidità e con le mani mai lavate”.
Dal libro traspare l’idea di libertà intrinseca nei frutti dimenticati: una libertà associata sia all’anarchia del loro consumo, sia alla biodiversità rurale e identitaria che caratterizza questi prodotti spontanei e rinselvatichiti, non curati, privi di una regolare potatura, eppure così vitali. Varietà che sono state abbandonate perché ritenute distintive di una condizione sociale inferiore e sostituite da cultivar standard dalla maggiore resa, più convenienti per il mercato globale. La loro perdita è coincisa con il tramonto dell’economia contadina e dei valori popolari da questa veicolata, a cui Pozzetto vuole dare voce.
L’autore dimostra quanto i frutti dimenticati fossero radicati nella cultura dei vecchi romagnoli, tanto da rientrare negli indovinelli, nei proverbi, nei modi di dire, nelle favole, nelle filastrocche, nei rituali magici e divinatori, nelle cure medicamentose, ma soprattutto nella cucina di tutti i giorni. Dalla saba ai sughi (sugoli), dal pane ai biscotti, dalle mostarde alle confetture, dalle gelatine ai liquori alle zuppe: erano tante le ricette popolari che contenevano questi frutti. Nell’ultimo capitolo Pozzetto lascia spazio ai piatti di cuochi contemporanei realizzati con i frutti dimenticati che oggi, grazie alla passione di coraggiosi agricoltori, sono tornati alla ribalta. Che sia giunto il momento di pensare a una vera rivalorizzazione non connessa solo alla fugace “fighezza” del loro consumo?
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FRUTTI DIMENTICATI FRUTTI INDIMENTICABILI
Scritto da Graziano Pozzetto
2015, Ed. “Il Ponte Vecchio”
pp. 344-16,90 euro