Chi è e cosa fa l’allevatore di formaggi
L'allevatore di formaggi è una figura diversa dal casaro e dallo stagionatore. Abbiamo chiesto a Guffanti 1876 come si diventa allevatori e cosa significa fare questo lavoro
- Cosa significa fare l'allevatore di formaggi
- Come si diventa allevatore di formaggi
- La differenza tra allevatore e stagionatore
Se un formaggio è buono, bisogna fare appello non solo al casaro, ma anche all’ “allevatore di formaggi”. E guai a confondere le due figure, l’allevatore di formaggi non è né un casaro, né uno stagionatore. Si occupa della seconda trasformazione del formaggio, gli dà il carattere altrimenti destinato a restare inespresso.
In Italia, se diciamo allevatore di formaggi, pensiamo immediatamente all’azienda Guffanti 1876 di Arona, che fa questo lavoro da tanti, tanti anni. Ancor prima che il termine venisse usato, o meglio abusato, spesso solo in modo autoreferenziale. Per capire cosa significhi fare questo mestiere professionalmente (perché sì, non basta saper sistemare dei formaggi tra gli scaffali per auto proclamarsi allevatore), abbiamo chiesto lumi a uno dei titolari della realtà piemontese, Giovanni Guffanti Fiori.
Cosa significa fare l'allevatore di formaggi
Guffanti 1876 è un’azienda che non produce formaggi, né li stagiona, ma li alleva. Cosa significa?
Noi della Guffanti “semplicemente” ricerchiamo, selezioniamo e valorizziamo prodotti caseari scelti in ogni regione d’Italia e, in parte, in Europa.
La sintesi che illustra il primo presupposto fondamentale che ci guida può essere espressa come segue. Ci occupiamo (quasi) esclusivamente di formaggi (di vacca, pecora, capra e bufala) prodotti da casari che gestiscono la loro mandria, quando la stagione lo permette, liberamente sul pascolo spontaneo e, quando non è possibile, in stalla, badando però ad alimentarla con erba e/o fieno (preferibilmente della propria azienda e con dosi di integrazione che siano contenute a un limite max del 30%), e trasformano il proprio latte, preferibilmente crudo, e sul luogo di mungitura.
In una parola: l’oggetto della nostra attività è il latte coagulato di oggettiva eccellenza, dunque il Formaggio di eccellenza. Non solo descritto, parlato, favoleggiato, ma che sia espressione di storia vera e concreta, oltre che specchio dei diversi territori. Ecco perché possiamo dire che ci occupiamo della seconda trasformazione del formaggio.
In che senso la Guffanti si occupa della seconda trasformazione del formaggio?
La prima trasformazione è costituta dalla fase produttiva e di (breve) stagionatura a cui si dedica il casaro. Le sue forme migliori poi possono essere valorizzate ulteriormente da cure assidue e più prolungate e noi, dal 1876, facciamo proprio questo.
Con la consapevolezza che l’eccellenza, per ogni tipo di formaggio, derivi da un attento lavoro in cantina che accudisce e accompagna il prodotto, dandogli toni di gusto, struttura e aroma ben diversi e ben più apprezzabili di quelli già notevoli di partenza. E soprattutto avendo cura di evitare gli inevitabili difetti che porta con sé il semplice invecchiamento del formaggio, che, se mal selezionato, è inadatto a essere conservato a lungo.
Come si diventa allevatore di formaggi
Se una persona volesse fare l’allevatore di formaggi che percorso deve seguire?
Si tratta di un lavoro che non prevede né uno schema didattico consolidato, né tanto meno una formazione programmabile. Alle spalle di un allevatore di formaggi c’è la conoscenza di casari, bestie e ambienti, ma anche la familiarità con il microclima, la flora batterica e le conseguenti possibili trasformazioni strutturali naturali nelle paste dei formaggi che tutto ciò comporta. Tutti fattori che, se ben padroneggiati, permettono la vera valorizzazione del prodotto.
Tutto ciò non si impara a scuola e pertanto non è materia codificabile. Nonostante ciò è un lavoro, come si è detto, in cui oggi si entra anche spesso in modo autoreferenziale per convenienza, perché è di moda (il famoso “faccio l’affinatore”) e non esiste nessuna barriera all’ingresso.
Diversamente da tutte le altre professioni, infatti, non è previsto che ci si accrediti per titoli ed esami. Mentre non è possibile qualificarsi avvocato senza aver seguito con profitto un corso di studi in giurisprudenza e aver sostenuto, dopo un adeguato tirocinio, un esame che addirittura si chiama "di Stato", è invece possibile autoqualificarsi "affinatore" solo per il fatto di essere in grado di allineare dei prodotti caseari su degli scaffali in un qualsivoglia ambiente e magari dedicarsi a modificarli aggiungendo arredi e ingredienti più o meno fantasiosi sulla crosta o nella pasta. Magari anche riuscendo a convincere il consumatore che questa è la formula magica di valorizzazione di prodotti di per sé anonimi.
Del resto, non ci si stupisce più. Ci è voluto lo shock dello scandalo del metanolo e la acquisita consapevolezza che, bevendo male, si poteva anche morire subito per aprire la strada alla reazione dei vignaioli che si sono affrancati dalla servitù del prezzo basso, e quasi unico, comprendendo finalmente che il vino si fa nella vigna e non nella cantina.
Una vera rivoluzione che ha innescato anche, per emulazione, la riflessione degli operatori caseari, allevatori di animali e casari più avveduti. Adattando la formula, hanno finalmente intuito anche loro che la liberazione dalla schiavitù di quella mostruosità tecnico-commerciale penalizzante, che è il prezzo unico del latte, si può ottenere se il formaggio si fa già nel prato, e non nella caldaia.
La figura dell’allevatore di formaggi come partner degli allevatori-casari, autore di quello che qui chiamiamo "seconda trasformazione", si evidenzia proprio a partire dall'acquisizione di questa virtuosa constatazione. L’allevatore intuisce la grande potenzialità del prodotto reso nobile dalla nobiltà della materia prima ottenuta senza condizionamento di prezzo e tale da permettergli di garantirne al casaro la possibile valorizzazione.
In che modo l’allevatore valorizza il formaggio?
Il primo passo è quello di mettere il latte al centro dell'attenzione. La constatazione è di una semplicità disarmante: il formaggio altro non è che latte coagulato. Se ciò che si coagula è di qualità altissima, lo sarà anche il risultato.
Da questa semplice consapevolezza la necessità di scoprire dove, come e quando il latte riceve le sue stimmate. Poi il passo è breve. L'animale che bruca liberamente sul pascolo spontaneo fornisce i marcatori originali della qualità del formaggio, che non starà tanto e solo nella percentuale di grassi e di proteine, quanto nell'infinita gamma di aromi e sfumature di colore che una dieta di quel tipo fornisce. Senza bisogno di ricorrere in produzione a nessun coadiuvante.
Un altro passo fondamentale è capire che questi marcatori di qualità raggiungono la loro massima espressione quando il latte viene lavorato a crudo e preferibilmente nei luoghi di mungitura. Se quanto detto torna, allora il lavoro di chi si affianca ai produttori e ne perfeziona il prodotto con la "seconda lavorazione" è, prima di tutto, quello di conoscere profondamente, intimamente, i luoghi, gli animali, gli uomini e le donne del formaggio, la sua natura, le sue necessità in termini di ambienti di maturazione. Una specie di missione per acquisire la conoscenza pratica di ciò che la teoria suggerisce.
Questo è il primo paletto discriminante tra chi può essere qualificato come un professionista dell'allevamento dei formaggi e chi semplicemente si improvvisa tale. Per pensare di poter migliorare una cosa bisogna conoscerla nelle sue fibre più intime. Ci vuole tempo, pazienza e anche un po’ di bernoccolo in un percorso virtuoso che si autoalimenta.
La differenza tra allevatore e stagionatore
Perché allevatore non è sinonimo di stagionatore?
L’allevatore non è “solo” uno stagionatore. Bisogna pensarlo come un perfezionatore dei caratteri ben distintivi già presenti nei formaggi di cui si occupa. Un risultato che si ottiene attraverso la seconda trasformazione, cioè quella fase di cure e attenzioni che vanno dedicate ai formaggi al di là, al disopra e soprattutto dopo il lavoro di produzione del casaro/allevatore e della prima inevitabile necessaria stagionatura.
La materia prima di cui si occupa l’allevatore di formaggi non solo gli è ben nota, ma, come si è più sopra detto nasce dalla partnership tra lui e il casaro. Quello di allevatore di formaggi è quindi un lavoro vero e proprio di valorizzazione della materia prima che nasce ancor prima che l’animale bruchi. L’allevatore di formaggi non deve essere visto come un produttore, né come uno stagionatore, ma come un tutor di tutta la filiera produttiva di cui si occupa al fine di gestirne al meglio il risultato.
Deve gestire al meglio i luoghi di conservazione e di perfezionamento del prodotto, dosando gli strumenti naturali della temperatura e dell'umidità. Deve dunque anche saper scegliere gli ambienti fisicamente adatti, di cui l'optimum è una cantina e applicare anche quotidianamente, quando serve, tutte le cure necessarie (lavaggi, puliture, rivoltamenti) per l'evoluzione possibile delle croste. Ogni formaggio sarà gestito nell'ambiente più consono, anche quando questo è promiscuo. Con la sperimentazione il perfetto allevatore avrà individuato, nel corso del tempo, i luoghi più vocati, nella propria cantina, per permettere l'evoluzione migliore, formaggio per formaggio.
Con una avvertenza: non sarà certo solo il trascorrere del tempo a qualificare il lavoro dell’allevatore.
Formaggi senza gli imprinting ricordati sopra diventano semplicemente vecchi e un formaggio vecchio è quanto di peggio si possa immaginare. Ben altro il risultato, quando il tempo è sagacemente applicato, attraverso l'assiduità della cura e la correttezza dell'ambiente, a far sì che le croste respirino e restino morbide ed elastiche, permeabili e nello stesso tempo a protezione di una pasta che non inaridisce e che anzi, anche nei formaggi di più lunga vita, offra al momento della degustazione, non solo gamme di gusto completissime, ma anche palatabilità, concreta morbidezza e solubilità. In una parola il risultato dell’allevamento sarà un formaggio perfetto.
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