Il Nebbiolo spumante delle Langhe
Non tutti sanno che nelle Langhe esiste anche la versione spumante del Nebbiolo. Vi raccontiamo la sua storia e i pochi produttori che ancora lo fanno.
- La doc e il territorio
- La storia dello spumante piemontese
- Il nebbiolo spumante oggi
- Casina bric 460
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Sono in pochi a conoscerlo, e ancora meno a produrlo. Ma il Nebbiolo, quella straordinaria uva tutta italiana che nelle langhe dà vita ai grandi vini di Barolo, Barbaresco e Roero (oltre a quelli di Valtellina, Valle d’Aosta e Alto Piemonte, con i biotipi locali), esiste anche nella versione spumante.
E non in uvaggio con altre uve più blasonate e agevoli per la produzione di bollicine, ma proprio con uve Nebbiolo al 100%. Essendo così vocata per i rossi da invecchiamento, si intuisce facilmente come, con la sua carica polifenolica, la cultivar non sia di fatto tra le più semplici da usare per la produzione di vini base per spumante, eppure i risultati sono interessanti.
Inoltre “Nebbiolo” questi vini lo possono riportare in etichetta – gli unici autorizzati a farlo – perché la DOC di riferimento si chiama Nebbiolo d’Alba. Una denominazione storica, la terza in Italia per la produzione di spumanti, istituita il 9 settembre del 1970, che prevede, oltre alle due tipologie di vini fermi (Rosso e Superiore), due spumanti (Rosso e Rosé, sia Metodo Classico sia Martinotti), tutti ottenuti esclusivamente dal vitigno, per una produzione complessiva di poco più di 40mila ettolitri nel 2020, di cui oltre 34mila di Spumante.
LA DOC E IL TERRITORIO
La denominazione abbraccia tutto, o in parte, il territorio di venticinque comuni della provincia di Cuneo, posti su entrambe le sponde del fiume Tanaro e attorno alle DOCG più importanti di Roero, a sinistra; e Barolo e Barbaresco, a destra. A livello pedologico, i terreni destinati alla produzione di vino devono essere argillosi, calcarei e silicei, in giacitura esclusivamente collinare, a un’altitudine non superiore a 650 metri s.l.m. e con esposizione idonea.
Elemento di forza per la coltura del Nebbiolo è la particolare conformazione geografica dell’areale dell’albese, di epoca Terziaria, che vede la presenza di Rocche, ovvero quei canyon che si sono generati tra 220 e 150 mila anni fa, attraverso l’erosione operata dal fiume Tanaro, deviato sulla direttrice Alba-Asti (fenomeno detto “cattura”) a seguito al movimento della crosta terrestre. Si sarebbero generati così questi suoli di origine marina e composti da strati alternati di sabbie, argille e calcare diventati poi tanto preziosi per la viticoltura, che, nel caso degli spumanti, vanno a conferire complessità e sapidità alla freschezza dei vini base.
LA STORIA DELLO SPUMANTE PIEMONTESE
La nascita del vino spumante da Nebbiolo d’Alba si aggancia a quella tradizione spumantistica piemontese che prende il via a metà dell’800, e dalla quale avrebbero poi avuto origine tutti i grandi distretti spumantistici del nord-ovest, dall’Asti all’Alta Langa, fino all’Oltrepò Pavese. La sua nascita si deve alla perseveranza di Carlo Gancia che, nel 1865, aveva creato a Canelli il primo Metodo Classico italiano, uno spumante dolce dalle locali uve di Moscato.
Ma la fortuna del Nebbiolo si deve all’enologo francese Louis Oudart, che aveva avviato a Genova una propria attività di produzione di spumanti, da uve che acquistava soprattutto in Langa, tra cui anche il Nebbiolo. All’epoca, infatti, il Nebbiolo non dava quei buoni risultati che conosciamo oggi: il blocco delle fermentazioni, causato dai freddi autunni langaroli, generava vini dolciastri e poco gradevoli. È per questo che in Piemonte era iniziata la sperimentazione sul Pinot nero, sostenuta in primis dal Conte di Cavour, con l’obiettivo di provare a imitare il successo dei vini rossi francesi.
È solo dopo che Oudart, convocato nel 1840 dalla Marchesa Giulia Colbert, moglie di Carlo Tancredi Falletti di Barolo, per migliorare la propria produzione, ebbe risolto i problemi di fermentazione del Nebbiolo, il vitigno sarebbe salito di nuovo sul trono delle Langhe e sarebbe nato il Barolo.
Contestualmente, proprio facendo tesoro di quelle uve di Pinot nero che nelle Langhe nessuno voleva più, Carlo Gancia sarebbe invece finalmente riuscito a creare il primo Metodo Classico secco, progenitore del progetto “spumante italiano” dell’Alta Langa. Va da sé che la tipologia Nebbiolo Spumante finì però per non avere mai troppa fortuna giacché, laddove era possibile produrre un Barolo o Barbaresco, ovviamente si andava sempre a prediligere uno di questi due, anziché lo spumante.
IL NEBBIOLO SPUMANTE OGGI
Come dicevamo, oggi il Nebbiolo d’Alba Spumante è una realtà marginale e poco conosciuta nella vinificazione del Nebbiolo. Purtroppo, aggiungiamo, perché è un raro caso tra i distretti di Metodo Classico del nord Italia a prevedere l’utilizzo esclusivo di un’uva locale e non di uve internazionali (vedi i Pinot nero e gli Chardonnay che caratterizzano Alta Langa, Oltrepò Pavese, franciacorta e Trento).
C’è, però, chi la sta provando a rilanciare, puntando, essenzialmente, sulla più accattivante tipologia Rosé (grande assente è, nel disciplinare della denominazione, la tipologia Blanc de Noirs. E anche da qui parte la controversa discussione sull’introduzione nella DOC Langhe della nuova tipologia Nebbiolo Spumante, che contenterebbe chi produce spumante fuori dai confini e dalle tipologie della DOC, ma che si sovrapporrebbe inevitabilmente alla DOC Nebbiolo d’Alba).
In questa manciata di produttori rientra Gianluca Viberti, enologo a Barolo, che ha voluto credere nel progetto di valorizzazione di territorio e di una bollicina meno conosciuta, lasciando l’azienda di famiglia e lanciandosi, dal 2010, in un progetto tutto suo: Casina Bric 460.
CASINA BRIC 460
460 è la media altimetrica dei vigneti di Nebbiolo che circondano Cascina Bricco, toponimo che dà il nome alla Cantina e punto più alto del Comune di Barolo, da cui ammirare l’intero panorama patrimonio UNESCO delle Langhe. Amante della montagna, Gianluca ha fatto dell’altezza anche il contesto della propria viticoltura. E così, dall’appezzamento di Guarene, a 360 m s.l.m., arrivano le uve di Nebbiolo idonee a produrre basi spumante di Nebbiolo d’Alba.
Due etichette, entrambe Rosé ed entrambe identificate dal marchio ‹Orĩgo-Ginĩs›, dal latino origo-originis, perché distintive di un territorio di provenienza e quindi originali. Ma, l’una è ottenuta con Metodo Martinotti lungo (8-12 mesi sui lieviti), l’altra con Metodo Classico (60 mesi sui lieviti). La prima, un Brut prodotto senza l’aggiunta di zuccheri, si presenta di colore rosato tenue, con perlage persistente e fine; all’olfatto evidenzia note di fragolina, rosa canina e lieve arancia bionda, mentre in bocca è avvolgente, ampio e piuttosto morbido. Il Metodo Classico, Pas Dosé e prodotto solo nel formato magnum, si mostra di un bel rosa buccia di cipolla, con perlage fine e persistente; il naso è complesso, con toni evidenti di idrocarburi, polvere pirica, gesso, melagrana e nuance balsamiche, mentre al gusto è secco, teso ma cremoso nella componente carbonica e di ottima persistenza.
Due vini versatili e di ottima abbinabilità, da apprezzare dall’aperitivo fino a portate non troppo elaborate sia di carne che di pesce. Ottimo l’abbinamento territoriale del Metodo Classico Pas Dosé con il vitello tonnato, cui si accosta donando freschezza e sapidità, ma anche una piacevole persistenza retrolfattiva.
Contatti
Casina Bric 460
Località Bruni, 8, 12050 Serralunga D'Alba (CN)
info@casinabric-barolo.it
www.casinabric-barolo.it