Cucinare senza corrente
Nei suoi 50 anni di vita il ristorante Romano è stato coerente nella linea di non seguire mai le mode
Dal Pescatore di Canneto sull’olio, il Cigno di Mantova, Giovanni di Alseno.
Alla fine degli anni Settanta un gruppo di ristoratori (oltre a Romano, ai Santini, al Cigno di Mantova e a Giovanni di Alseno, ne facevano parte La Contea di Neive, Ceresole a Cremona, la Mora a Ponte Moriano, Boschetti a Tricesimo, il Bersagliere di Goito, l’ Amelia di Mestre), guidati da Colombani, proposero un ‘avanguardia (un termine bizzarro visto che si tornava, in un certo modo, al passato) di resistenza.
Da un lato alla diffusione di rucola, penne con il salmone e vodka e un mare di panna; dall’altro all’avanzata dirompente della nouvelle cuisine che fece non pochi proseliti in Italia, tra cui la stella nascente Gualtiero Marchesi. Il movimento “Linea italiana” riproponeva i classici regionali (la madrina era Anna Gosetti Della Sada, autrice dell’importante volume “Le ricette regionali italiane”) con un tocco di personalità da parte dei cuochi e il ricorso ai prodotti del mercato, mentre foie gras, ostriche e salmone invadevano le cucine.
In quegli stessi anni, sebbene non aderisse al movimento di Colombani, ma ne condividesse alcuni principi tra cui appunto “mai seguire le mode”, brillava anche Peppino Cantarelli di Samboseto. In realtà la linea di una cucina regionale da allora ha avuto un grande seguito dalle Alpi alla Sicilia, fino ai giorni nostri, nonostante nel tempo la storia della gastronomia abbia segnato il successo e il declino di nuove correnti culinarie: la nouvelle cuisine prima, il ciclone spagnolo poi, quindi la nordic cuisine e un framezzo di cucina molecolare.
Di certo questi movimenti hanno segnato il passato e il presente di molti cuochi, alcuni di questi hanno brillato per essere “ondivaghi”, seguendo prima una scuola di pensiero, poi un’altra, sempre per essere trendy. Altri si sono persi non disponendo delle qualità o del talento dei capiscuola (Troigros, Vergè, Ferran Adrià).
Per Franca in cucina e Romano ogni mattina al mercato del pesce di Viareggio o ad aspettare le barche verso sera (e il figlio Roberto a occuparsi della sale e della cantina) le mode sono scivolate via nel corso dei cinquant’anni, tenendo fermi alcuni valori: l’arte difficile della semplicità nella preparazione dei piatti, ovverosia il rispetto del pesce fresco (e qualche volta vivo); l’abilità di offrire un cibo leggero senza alterare i sapori e usando un pizzico di fantasia per presentarli in modo originale; la ricerca maniacale degli ingredienti.
In primis il ricorso all’olio di oliva extravergine, anche nelle preparazioni di cucina (non solo ad usum delphini in sala) di cui i Franceschini sono eccellenti produttori nel territorio vocato di Montecarlo (Lucca). Il tutto condito dalla passione e dall’affabile accoglienza segnata da un calice di champagne, in luogo del diffuso frizzantino. Romano e Roberto sono produttori di vino e accorti selezionatori, la loro carta è sempre stata aggiornata con le novità e i classici italiani e francesi. Ho cercato di ricostruire la mia prima volta da Romano.
Era sul finire degli anni Settanta, allora i ristoranti vip erano soprattutto in quel di Forte dei Marmi, ma un amico di straordinari assaggi al Nebraska di Camaiore, locale unico, fantastico, indimenticabile, dove era possibile sorseggiare, addirittura a calice, Chateau d’Yquem, Chateau Petrus, Chateau Margaux, mi segnalò il ristorante viareggino come meta da non mancare per chi cercasse il cibo e non la platea.
Quante volte da allora mi sono seduto a un tavolo di via Mazzini non so contare, vorrei ricordarmi tutti i piatti, assaggiati nel tempo, alcuni comunque non posso dimenticarli. A cominciare dai calamaretti ripieni di verdure e crostacei; gli scampi, piselli, polvere di olive e cipollotto fumè; gli sparnocchi con fagioli schiaccioni o con lardo di Colonnata; la crema di ceci di Valentano o con miele di castagno; gli scampi in guazzetto; il carpaccio di triglia, fave, maionese di pesce e limone; i mezzi paccheri alla viareggina con frutti di mare e pesce cotti e crudi; gli spaghetti e arselle (locali, quando ci sono); lo stufatino di calamaretti, scampo e dadolata di pomodoro; i bottoni di zuppa di pesce con brodetto di cicale; il fritto misto di mare leggero come una farfalla; l’ombrina patate e Funghi; il tegamino di pesce alla viareggina.
Non ricordo di aver mai letto in carta un piatto a base di tonno, quasi a voler restare anche su questo fuori dalle facili mode del momento, mentre è sempre stato presente un piatto di crudo con il pescato degli amici viareggini delle barche o del mercato locale senza svolazzi esotici. C’è un particolare che ho sempre osservato da Romano: il cliente ha l’occhio e l’attenzione tutta proiettata su ciò che sta gustando, ovvero sui piatti di Franca, non è attratto dai tavoli vicini e non bada a farsi notare, mentre in altri locali della Versilia l’attenzione spesso è rivolta a guardarsi attorno e a farsi vedere dagli altri clienti, quasi per affermare: ci sono, eccomi qua…
Contatti
ROMANO RISTORANTE DAL 1966
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