Pajata & Co. alla riscossa
Con l'abbassamento del rischio sanitario per la Bse, ritornano alcuni piatti ostracizzati nell'ultima decade
L’avevamo detto che era tempo di ritorni. La cucina degli anni ’50, il baratto, i carretti di strada, il burro con le acciughe. Ora è venuto il momento della pajata, vittima per dodici anni delle restrizioni sanitarie adottate nel luglio 2001 per far fronte all’emergenza mucca pazza (Bse). La novità è che tali restrizioni dovrebbero essere finalmente rimosse dall’Unione Europea, dopo il giudizio positivo dell'Organizzazione mondiale per la sanità animale (Oie), con l’effetto, come rende noto la Coldiretti, di sdoganare uno dei classici della cucina romana.
La pajata - spiega la Coldiretti - è il termine romanesco per definire la prima parte dell'intestino tenue del vitello da latte che è stato oggi sostituito nei ristoranti e nelle trattorie dall' intestino d'agnello. É l'ingrediente principale di uno dei piatti più tipici della cultura gastronomica della capitale: i rigatoni con la pajata, ma può essere proposta anche alla brace, in forma di spiedino.
A risentire positivamente del passaggio dall'attuale livello di rischio “controllato” a quello “trascurabile", relativo allo stato sanitario per l'encefalopatia spongiforme bovina, non sarà solo la pajata. In fila ad aspettare il loro turno di riabilitazione, ci sono anche il risotto alla milanese con il midollo di bue, la Finanziera alla piemontese con le sue varie frattaglie e animelle di vitello. Per non parlare delle Frittelle di cervello o della Pearà veronese, salsa a base di midollo di bue ottima in accompagnamento ai bolliti.