Torna a inizio pagina

Bentornata Pajata

Dopo 14 anni di esilio, lo storico piatto romano sarà di nuovo disponibile nella sua versione autentica


Dario Cecchini, raggiunto telefonicamente dalla redazione del Gastronauta, commenta il grande ritorno della pajata da lui considerata come “la massima sdrammatizzazione del filetto”. Il macellaio poeta di Panzano in Chianti è felice per questa resurrezione, simbolo dell’importanza delle frattaglie e di una cucina che, anziché badare alle stelle, dovrebbe cercare ispirazione dalle stalle.

Finalmente, dopo 14 anni di esilio per le restrizioni sanitarie legate all’affair  Mucca Pazza, la pajata romana è nuovamente sulle tavole della capitale per la gioia degli italiani, e non solo. La svolta per il ritorno del grande classico della cucina romana si era già subodorata nel maggio del 2013, quando l’ Organizzazione Mondiale per la Sanità Animale (Oie), in merito alla Bse, aveva ufficialmente sancito per l'Italia il passaggio dal livello di rischio "controllato" a quello "trascurabile".

Dopo le lunghe battaglie di Coldiretti, il 17 marzo l’ Unione Europea si è espressa favorevolmente alla modifica del regolamento comunitario del 2001 che, per prevenire e controllare l’encefalopatia spongiforme bovina (Bse), aveva messo al bando uno dei must culinari italiani. Lo storico piatto romano ci era mancato, ma il nuovo consenso al recupero di alcuni organi bovini, prima proscritti, l’ha restituito ai nostri palati. Il nome pajata indica, in romanesco, la prima parte dell’intestino tenue del vitello da latte che,  pulito ed eviscerato ma non privato del latte bevuto dal piccolo bovino, è l’ingrediente protagonista di piatti cult della tradizione capitolina.

La pajata, alla brace, in forma di spiedino o con i rigatoni, è una ricetta intrinseca alla cultura romanesca, a cui i suoi concittadini non hanno saputo rinunciare. In questi anni di ostracismo, infatti, per sopperire alla richiesta, i ristoratori della capitale hanno provveduto ad apportare delle modifiche al piatto originale, sostituendo l’intestino tenue del vitello da latte con quello dell’agnello. Da oggi non si dovrà più ricorrere a questi escamotage grazie alla resurrezione dell’autentica ricetta. Coltivatori e allevatori hanno festeggiato questa notizia con una maxipajata sulle tavole di Palazzo Rospigliosi, in attesa che la normativa entri in vigore. Coldiretti è soddisfatta per questa nuova vittoria e, dopo fiorentina, pajata e finanziera piemontese, punta al ritorno dell’unico piatto ancora bandito, il cervello fritto.

ADV