La Piadina soffocata in un sacchetto
La Piadina romagnola è un giacimento gastronomico con un pedigree culturale e poetico, forse come nessun altro cibo
Rimango sempre molto colpito alla vista di una piadina segregata. Chiusa in un volgare sacchetto di plastica, incapace di respirare, implorante di salvarla, di farla uscire! Mentre la memoria sensoriale mi portava al profumo, di lei stesa nella teglia di terracotta di Montetiffi.
Non si può ridurre così un giacimento che dispone di un pedigree culturale e poetico, forse come nessun altro cibo. Quei signori che soffocano la piadina, riducendola ad un boccone comune, forse non si rendono conto che porta quel nome, addirittura una rivista storica “La Piè”, voluta dal poeta e medico Aldo Spallicci, promotore dell’identità e delle tradizioni della Romagna, che ha annoverato tra i collaboratori numerosi futuristi appartenenti all’Avanguardia.
Così annunciavano all’uscita nel 1919 i fondatori: “la Piè (la piadina), il nostro schietto pane, intriso sul tagliere e cotto sulla tegghia. Amiamo chiamare questo foglio per sentirci più a casa. Per il nostro palato e per il nostro stomaco. E niente dice più Romagna di questo pane nostro”.
Lo stesso Spallicci ha tramandato la ricetta forse paleolitica della pje o pji o pida o pjida o pièda (a secondo delle denominazioni dialettali della piadina romagnola di Forlì, Faenza, Ravenna e Rimini), in voga negli anni’20/30, oggi impossibile perché indicava un chilo di farina, non troppo setacciata e, addirittura mezzo chilogrammo di strutto, un rapporto che farebbe inorridire, non dico un dietologo, ma pure un’azdora moderna.
La piadina profuma cultura, anzi poesia del sommo Giovanni Pascoli (un mio amore liceale), quando declama: “Ma tu, Maria (Mariù l’amata sorella), con le tue mani blande/ domi la pasta e poi l’allarghi e spiani/ ed ecco è liscia come un foglio, e grande/ come la luna e sulle aperte mani/tu me l’arrechi, e me l’adagi molle/ sul testo caldo, e quindi l’allontani/. Io, la giro, e le attizzo con le molle/ il fuoco sotto, fin che stride invasa/ dal calor mite, e si rigonfia in bolle:/ e l’odore del pane empie la casa”.
Poesia, letteratura, non solo, pure politica e localismo. La piadina addirittura divide le province romagnole per calibrature e diametro, così esiste una piada del sud (Rimini, Riccione, Montefeltro) e una della Province Forlì’-Cesena, Ravenna e zone limitrofe.
Ha provocato pure scontri ideologi quando, anni fa, ad una festa dell’Unità, il Segretario ds, convocò un’assise per lanciare la piadina (e il cassone suo confratello) con la nutella.
Nacque così una polemica gastropolitica: il segretario locale di Rifondazione sostenne che la piada nelle feste dell’Unità è come il panettone a Natale, non si tocca; la segreteria della Margherita rispose che la piadina con nutella destabilizza il centro sinistra, mentre Alleanza Nazionale affermò che così fa ribrezzo; e Forza Italia che i comunisti si appropriano delle tradizioni. S.O.S per la piada vilipesa.