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Etichettatura del pesce: quando l'abito non fa il monaco

Quello che dicono (o non dicono) le etichette relative ai prodotti tipici


Nel 2013 è aumentato esponenzialmente il numero di prodotti alimentari sequestrati perché contraffatti; si parla addirittura di una crescita del 34% rispetto all’anno precedente. vino, conserve, prodotti ortofrutticoli, ma anche olio, latte e pasta privi delle certificazioni necessarie, adulterati con sostanze non consentite o senza l’indicazione di tracciabilità.
Anche i prodotti ittici non sfuggono purtroppo a questo triste trend facendo registrare un incremento di prodotti non conformi alla legge.

Ma senza fare dell’inutile terrorismo, vogliamo raccontarvi dell’etichetta che accompagna obbligatoriamente branzini, gamberoni e triglie; un’etichetta che è un po’ come il famoso abito del monaco… Ci dice qualcosa di chi la indossa, ma le sorprese sono sempre dietro l’angolo.

Ma partiamo dalle certezze: nell’etichetta, che deve essere in lingua italiana (e già questo è un passo avanti per fare un po’ d’ordine in una miriade di lingue, espressioni dialettali e definizioni differenti), devono essere indicati per legge:
- la denominazione commerciale del pesce;
- il metodo di produzione ovvero se il nostro pesce è pescato in mare, in acqua dolce o allevato;
- la zona di cattura con indicazione della zona Fao corrispondente.

E già qui iniziano i primi grattacapi: la zona Fao altro non è che la porzione di mari e oceani che è stata identificata convenzionalmente dall’omonimo istituto con un numero, allo scopo di favorire la corretta tracciabilità del pesce. La zona Fao corrispondente ai mari italiani è ad esempio la 37. Tutto bene quindi? Più o meno, perché la zona 37 in realtà corrisponde a tutto il mar Mediterraneo, perciò identifica anche prodotti provenienti da Turchia, Spagna, Albania, Libia ecc..

Va detto che non c’è nulla di pericoloso in tutto ciò, solo dobbiamo tener presente che l’indicazione della zona di provenienza 37 non certifica univocamente che il prodotto sia italiano. In ogni caso, non è il fatto che la nostra orata venga pescata al largo delle coste pugliesi o tunisine a dover preoccupare il consumatore, quanto che essa abbia superato tutti i controlli di sicurezza.

Ecco, è qui che nascono i problemi più seri: un’etichetta precisa non sempre è sufficiente a garantire che il prodotto non sia contraffatto. Gli escamotage per truccare i prodotti ittici sono tanti ed il consumatore non ha molte armi per difendersi in questo senso.

Confidando nel lavoro Guardia di Finanza &C. ed in attesa di una normativa più efficace, orientiamoci in ogni caso su prodotti certificati preferendo per le nostre ricette di pesce i prodotti locali meno richiesti ed inflazionati (e perciò meno a rischio truffa).
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