E ora tutti vogliono l'acciuga
Sono finiti i tempi bui in cui era snobbata in quanto pesce povero
Tutti le vogliono, tutti le chiedono sia consumatori, sia ristoranti, bistrot, trattorie, format di ogni tipo. Sì, sono proprio loro, le regine delle tavole: le acciughe del Cantabrico. È inspiegabile il loro successo perché da sempre sono state considerate un prodotto povero, quasi da ultima spiaggia della spesa. Un cammino questo che ricorda da vicino il baccalà, da sempre relegato appeso (appunto come un baccalà) nei mercati rionali, poi asceso anche ai fasti delle cucine stellari.
Domani in arrivo l’ascesa delle sarde, pronte a dar man forte nei menu alle sorelle acciughe. Sono questi due pesci azzurri che un tempo, dopo la conservazione sotto sale prendevano il nome di “saracca”, soprattutto nell’antica tradizione contadina veneta, lombarda e emiliana. Questi pesci “poveri” venivano lasciati macerare interi nell’olio e quindi appesi a una cordicella che li manteneva sospesi a pochi centimetri dal tavolo di pranzo; i commensali a turno le strofinavano per dare un sapore alle fette di polenta o di pane. Prima o poi torneranno anche le saracche? Certamente no, ma che sia in atto una rivoluzione, dove il prodotto povero diventa ricco e viceversa soprattutto nel prezzo, è assai chiaro. Perché le acciughe del Cantabrico (tratto di mare dell’Oceano Atlantico che bagna la costa nord spagnola e la costa nord-ovest francesi), hanno un grande successo rispetto alle alici di Cetara o di Sciacca o di Monterosso?
I plus sono diversi: il pescato arriva appunto dal mar Cantabrico, mare freddo e non inquinato che permette alle acciughe di avere una polpa ben consistente. La pesca è regolamentata, di anno in anno, per non permettere, a fronte della enorme domanda, un massivo sfruttamento del mare (in passato è stato fatto ricorso al fermo biologico quando le acciughe erano a rischio estinzione). Le diverse fasi di lavorazione sono tutte manuali in quelle aziende che immettono sul mercato solo il pescato tra aprile e maggio, prima quindi della deposizione delle uova, una scelta che permette una maggiore carnosità e un sapore unico. Una politica ben attenta di pesca sostenibile e di un marketing incentrato sulla valorizzazione della denominazione territoriale.
Il successo delle acciughe del Cantabrico però parla anche italiano. Alla fine dell’800 e ai primi del’900 sono arrivati a Santona (porto sul mare Cantabrico) napoletani e siciliani che hanno insegnato ai pescatori locali (tra cui un Sanfilippo, il cui marchio oggi è tra i più prestigiosi di acciughe, come Nardin di origine veneta) l’arte della conservazione, della salagione e della messa in barili. Non solo, in un secondo tempo, l’italiano Giovanni Vella Scagliola ha insegnato ai pescatori spagnoli a dissalare, pulire e diliscare le acciughe: una tecnica che ha dato vita al grande boom di questa specialità ittica. Non a caso a Santona c’è una targa che recita: “paseo de los salazoneros italianos”.