Date da mangiare a Phil, la nuova stagione su Netflix
La docuserire racconta le scorribande gastronomiche in varie città del mondo di Philip Rosenthal. È scritta, girata e interpretata bene. Da non perdere, anche se non amate il genere.
- Perché vale la pena guardare date da mangiare a phil?
- L’episodio di dubai: il cibo unisce e supera le barriere
- Il boccone dell’anima al bait maryam
Somebody Feed Phil (Date da mangiare a Phil) è diversa dalle solite serie su cibo e dintorni con chef stellati e i loro piatti “tra tradizione e innovazione”, commentati da una voce off poco coinvolta.
Qui il narratore coincide con il protagonista: Philip Rosenthal, noto al pubblico per avere scritto e prodotto la fortunata serie televisiva Tutti amano Raymond (CBS, 1996-2005).
Philip in prima persona entra nei ristoranti, parla con amici e sconosciuti, vagabonda per i mercatini in cerca di Street food. Lo vediamo mangiare a San Francisco orrendi panini che grondano salse; riempirsi la bocca di ravioli cucinati a Bangkok su incerte barchette sul fiume; assaggiare le polpette di piccione in piedi, nella cucina di Massimo Bottura all’Osteria Francescana di Modena. E alla fine di ogni morso, Phil cinguetta, alza le braccia, fa smorfie di sorpresa e soddisfazione.
Ogni sequenza narrativa è inframmezzata da Phil ripreso in primo piano, su fondale neutro, che commenta ciò che ha visto o mangiato, guardando in macchina e rivolgendosi quindi proprio a noi. Ma questo “noi” comprende anche la troupe che sta girando, che ridacchia alle sue battute.
PERCHÉ VALE LA PENA GUARDARE DATE DA MANGIARE A PHIL?
Uno degli aspetti più interessanti della serie è proprio questo svelarsi del meccanismo cinematografico. Come spettatori capiamo subito che “dietro le quinte” c’è il fratello Richard, direttore di produzione, che viene più volte interpellato, si affaccia nell’inquadratura e afferra dalle mani di Phil, per esempio, un pastéis a Lisbona: la macchina da presa segue il dolce che viene addentato dalla troupe, tutti sorridono e le briciole saltano allegre per aria. Richard è anche oggetto di insulti plateali (e apparentemente sentiti) perché costringe Phil – per esigenze di produzione appunto – a cimentarsi in avventure poco consone alla sua indole pigra, come fare snorkeling nelle acque gelide dell’Islanda.
Il fratello non è il solo comprimario: ci sono anche la moglie e i figli di Phil, che lo raggiungono nelle sue mete esotiche, e gli amici che raccontano le barzellette in video call alla fine di ogni puntata.
In generale, Date da mangiare a Phil riesce a trasmettere un’impressione di autentica scoperta del territorio e delle persone attraverso il filo conduttore del cibo. Sicuramente è tutto molto studiato e controllato: siamo certi che non poche realtà ricettive o di ristorazione abbiano chiesto (e pagato) per essere citate; ci sono però svariate scelte di sceneggiatura che potremmo definire non convenzionali, quasi “politiche”.
L’EPISODIO DI DUBAI: IL CIBO UNISCE E SUPERA LE BARRIERE
Esemplare l’episodio di Dubai di questa ultima stagione.
I titoli di testa sono preceduti da Phil che si trova all’Atmosphere Burj Khalifa, uno dei ristoranti più rinomati e costosi di Dubai. Un cameriere gli porge un piccolissimo hamburger foderato d’oro. Phil prende il piattino con il prezioso panino, lo mostra alla camera e… pane e polpetta d’oro cadono miseramente per terra. Phil assume l’espressione del bambino colto in flagrante a fare una marachella. Fuori campo si sente la troupe che sghignazza.
Dopo questa esilarante sequenza, ci saremmo aspettati un altro ristorante chic, invece ci allontaniamo dalla Dubai dei grattacieli e degli shopping center, per visitare la vecchia città. Così si può parlare di immigrazione, di piatti che provengono dalla Cina, dall’India, dalla Siria. Il concetto di base, semplice ed efficace, è che il cibo unisce e supera barriere sociali e territoriali. Per questo, appena può, Phil ostenta le sue origini ebraiche, sia quando incontra amici israeliani sia quando mangia, soddisfatto per la trasgressione, uno stinco di maiale. E altrettanto frequentemente partecipa anche ad appuntamenti religiosi nei luoghi che visita, come rompere il digiuno del ramadan nella città vecchia di Dubai, insieme a un gruppo di arabi conosciuti in loco.
IL BOCCONE DELL’ANIMA AL BAIT MARYAM
Ma il momento più bello e coinvolgente dell’episodio di Dubai, e forse dell’intera serie, è quando Phil va al Bait Maryam, il ristorante della chef Salam Dakkar, che prepara cucina levantina.
Salam Dakkar mescola delle spezie davanti a Phil, le impasta con della carne cruda e compone una polpetta.
Phil prende con le mani un pezzetto di polpetta e, mentre sta masticando, si commuove. Il boccone dell’anima, quello che, dice lo stesso Phil, va oltre il tempo e lo spazio.