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Stelle che brillano nel burro

I piatti di Philippe Léveillé hanno tecnica, gusto e convivialità


La querelle Nord e Sud è da sempre politico-sociale, ma può anche diventare una diatriba “campanilistica” in cucina. Il contendere è il condimento: burro o olio d’oliva? C’è chi indica la linea di demarcazione nel fiume Po, laddove scorre (dal Piemonte, a tutta la Pianura Padana, fino al Mar Adriatico) domina la cucina di burro, mentre sotto regna l’olio d’oliva.
Fino a qualche anno fa era questa la fotografia: il burro al nord, soprattutto per la presenza di diffusi allevamenti di mucche da latte. Il dominio del burro appunto si riscontrava soprattutto nei ristoranti e nelle trattorie del nord, un segnale: il pane veniva servito assieme al burro, così come è abitudine in tutta la Francia. Poi c’è stata una rivoluzione, gli stessi locali del nord oggi servono a tavola l’olio extra vergine d’oliva come “appetizer”; un segno di cambiamento, provocato da alcuni fattori. In primis le campagne salutistiche (prive di fondamento scientifico) contro l’utilizzo del burro o tesi quali il burro sia eccessivamente calorico o non sia adatto a friggere (basta utilizzare il burro chiarificato). Il burro è tuttora il condimento più consumato in Europa, 4,42 kg l’anno a testa di media contro i 2,5 dell’olio d’oliva. D’altro canto sia i paesi del Mediterraneo, ma soprattutto Australia, Stati Uniti e addirittura la Cina stanno incrementando la produzione di Evo (extra vergine di oliva): un chiaro segnale di tendenza.

La cura degli oliveti in Italia ha fatto passi da gigante, sono nati qua e là moltissimi artigiani che hanno cominciato a porre sul mercato olio d’oliva extravergine di qualità che il mondo ci invidia. Nonostante ciò nelle annate “buone” la produzione nostrana è intorno a 300/350 mila tonnellate, mentre il consumo totale in Italia oscilla tra le 500/600 mila tonnellate, inoltre esportiamo circa 300/400 mila, insomma siamo importatori anche per esportare non solo per il consumo interno. Una strana realtà inficiata da importazioni di oli che spesso non hanno livelli qualitativi adeguati o nascondono traffici illeciti. Il successo dell’Evo è ormai indubbio: in tutti i locali “fine dining lovers” fanno bella mostra ampolle di design, così come le scaffalature della Gdo sono colme di oli anche a prezzi assai sospetti.
Il mondo degli stellati ha una bizzarra eccezione: uno chef che ha addirittura scritto un romanzo culinario dal titolo “La mia vita al burro” dove si legge: "in Bretagna su ogni tavolo di cucina c’è il burro, a tutte le ore e in tutte le stagioni, metterlo in frigo jamais! Questo spiega perché il burro sia per me un elemento di assoluto valore simbolico prima ancora che un alimento indispensabile e insostituibile per la mia cucina”. Un libro di ricette finalmente raccontate e non arido, come spesso capita quando gli chef prendono foglio e penna.

Si tratta di Philippe Léveillé del “Miramonti l’altro” a Concesio (BS), un locale da sempre nella top ten della ristorazione italiana, dove lo chef si è integrato perfettamente con la famiglia Piscini, riuscendo a fondere la sua tecnica francese, affinata con esperienze gastronomiche in giro per il mondo, integrata con il patrimonio culturale da sempre del locale stesso: i prodotti e la tradizione italiana. Pare pleonastico aggiungere che il burro è protagonista dei suoi racconti, condimento difeso sul piano scientifico dal noto medico Mauro Defendente Febbrari con un breve saggio a chiusura del libro.

Il primo impatto con i piatti di Philippe è di una cucina semplice, ma non è così. La sua è frutto di tecnica, ma al tempo stesso golosa, generosa, un invito al piacere e alla convivialità. Lo chef ne parla senza fronzoli, non ricorre a filosofi, artisti e poeti, sembra voglia ribadire che il cibo prima si mangia, poi si ricorre a metafore, a ricordi, alla fantasia.
La sua creazione “Alici nel paese delle meraviglie” mi ha sorpreso non tanto nella sognante definizione, bensì nella composizione: si tratta di un quadro che offre un caleidoscopio di profumi e di odori, reso fresco e allegro da una granita di carota con vodka, preludio al seguito. “In fondo al mar”, già il titolo mi ha fatto risuonare all’orecchio una bellissima canzone di Lucio Dalla (come è profondo il mare): spaghetto di alga bruna e lumachine di mare che mi ha dato al palato una profondità di sapore intenso e persistente. Il motto del gastronauta è: “si mangia con la testa e non con la pancia”, ma la proposta “anguilla croccante, miele e cipolla” mi ha convinto, qui le due anime possono convivere. La perfetta texture dell’anguilla, frutto di sapiente cottura, con la goduriosa carne del pesce sono infatti un mix ben riuscito. Tutte le proposte mostrano la scuola di origine di Philippe, ma possono far pensare anche alla cucina italiana, mentre c’è un piatto nel menu di “Miramonti l’altro” che non offre dubbi: ”rognone come Lione”. Non è certo la città francese a dare la paternità a questo “boccone da prete”, ma l’esecuzione, ovvero la frattaglia intera rosolata con burro in padella, servita al tavolo con Cassis e senape. Davvero splendido! Un piatto (che “a me mi piace” assai) anche perché nel momento in cui lo assaggiavo sono corso con la memoria a Crissier (Svizzera) dallo straordinario chef Fredy Girardet dove più volte questo piatto mi ha aperto il sapore del gusto.

Contatti

MIramonti L'Altro

Via Crosette 34, Concesio (BS)
030.2751063
info@miramontilatro.it
www.miramontilaltro.it

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