Più che la fame poté il digiuno
Quando si dimagrisce per poter continuare ad abbuffarsi
Chi sono gli «abbonati» dei centri di dimagrimento rapido? Incredibile, sono gli stessi famelici telespettatori di trasmissioni culinarie, divoratori di libri di ricette, assetati di corsi di cucina. Un paradosso? Piuttosto un ossimoro. Il loro motto è: dimagrire per poter continuare ad abbuffarsi. La prova l'ho avuta un paio di anni fa intrufolato in un centro famoso, dove non mi sono trovato a combattere per un'ombra di pane con obesi o misure XXXL, ma con «pesi medio leggeri», desiderosi di purgarsi (in gergo: «disintossicarsi»). In quel dolce far niente fra misteriosi biberoni, pappette, massaggi, o murati con fango per ore dentro un celophan (a mo' di condom), come vivono i futuri snelli&magri a scadenza? È sempre il cibo il protagonista: si scambiano indirizzi di ristoranti, macellai, pasticcieri; si magnificano i piatti di chef, il salame, il gorgonzola.
Oppure i nostri combattenti e reduci del digiuno tornano bambini: le tagliatelle della nonna, le patate fritte della tata, lo zabaglione di mammà! C'è addirittura chi nel l'ora d'aria concessa dai gendarmi del digiuno, fugge per ingozzarsi un grasso hamburger grondante di senape e ketchup nel bar vicino che accoglie i rifugiati della fame «ben pagata». Fra i tavoli si sentono storie di eroi: un cantante che nascondeva nell'armadio un'intera forma di parmigiano durante la settimana di stenti. O due noti produttori di vino che per raggiungere un centro si «allenavano» con due abbuffate all'andata («tanto poi smaltiamo»), due al ritorno («abbiamo ammortizzato qualche chilo») in ristoranti tristellati. Sine qua non