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Lopriore sotto il Portico

Nel suo ristorante di Appiano Gentile, Paolo Lopriore pone al centro della sua cucina il cibo e il cliente



“Da un grande potere derivano grandi responsabilità”. È questo che ripeteva lo zio di Peter Parker, alias Uomo Ragno, al giovane e confuso Spiderman. È vero. Chi ha talento deve prescindere da sè stesso, lasciare stare il proprio ego e dedicarsi al talento stesso e interrogarsi sul ruolo e la responsabilità che derivano dal saper fare qualcosa.

Lopriore è immerso dal senso di responsabilità: ora è maturo, cresciuto, oramai maestro baffuto. Potrebbe farsi finanziare un progetto stellato in qualche ristorante per benino, invece è sotto un portico. Sì, avete capito bene, si è infilato sotto un portico nel mezzo della provincia comasca, ad Appiano Gentile, sua città di nascita e, udite-udite, sta facendo una cosa rara per uno chef: cucinare.

Si muove come una pallina da flipper in questo locale dai 16 coperti, indaffarato tra sala e cucina. E fa qualcosa di raro, desueto: pone il cibo al centro, senza fronzoli né orpelli. E introduce una figura dimenticata dal conclave stellato e disabituato, il cliente. Lopriore ha in mente, come un mantra, una sola cosa che traduce in gesti, piatti: il sapore.

Anzi pensa che il sapore sia la chiave della mai esistita e codificata scuola di cucina italiana. Sta facendo accadere una profezia legata a un prodigio raro, che non si chiama piatti, impiatti, suggestioni dello chef, ma semplicemente far da mangiare.

Due menù, secchi, democratici nel prezzo, perché qui si deve venire, provare e ritornare. Non come nelle mecche stellate dove vai una volta nella vita, reciti la tua preghiera lecca-cula alla stellata divinità pagana, fai due selfie che han già fatto tutti e poi, come quelli prima e dopo di te, tiri fuori due sacchi e non ci ritorni più.

Stagionalità pura

Scegliamo pizza fritta e melanzane alla scapece, l’altro era un menù di lago, ma è estate e al lago preferiamo l’orto. Fa un caldo pazzesco. Lopriore, testardo, non vuole l’aria condizionata, quasi a imporre come companatico il caldo, elemento romantico, quasi dimenticato a colpi di aria condizionata, stagionalità pura.

E poi d’improvviso, nell’afa Km zero della provincia, arriva quella melanzana all’aceto, terrona, raffinata, dolce, puntuale a metterti i brividi e creare refrigerio. Servita con vini naturali quindi acidi, perfetti per contrappunto. Spider Paolo è ovunque, senza imporre ego, aiuta la mamma che chiama in sala teneramente “mamma”.

Cresce la sua brigata ritornando in cucina con autorevolezza e spara una ragnatela di ordini, comandati con stile ed educazione e consigli ai futuri cuochi che verranno. Tra una comanda e l’altra, infatti, si permette il lusso di insegnare il mestiere con rispetto, non strilla né urla come un re buffone nella cucine del diavolo, ma suda e trasuda carisma in quei 30 gradi sotto Il Portico.

Ti porta un piatto, uno, unico trino e su quello ci devi mangiare senza cambiarlo fino al dolce, come facevi dalla nonna, tanto tutto è stato orchestrato per unirsi, combinarsi, stupirti, non vi è nulla al caso in questa orgia nel palato. La crema di pinoli tostata ti rimbalza in testa come una pallina da flipper e lasci forchetta e coltello, spezzi il pane come un novello Gesù Cristo da una pagnotta quasi medioevale e ti metti a fare scarpette come un calzolaio di bottega e ha già vinto lui, non ha bisogno di impiattare o cacciare urla sotto il pass.

Il cliente al centro 

Il nostro Uomo Ragno si aggira in sala, versa vino e, umile, ti accompagna in questo rinascimento di gusto in cui niente è lì per caso: essenza e sapore e condimento sono a servizio del gusto, brutali. E lui è in sala e in cucina, a farsi il culo, non a sculettare mentre gli stagisti mal pagati compiono il miracolo. E se gli chiedi: "posso taggare su instagram?", Lopriore ti farfuglia qualcosa che è un misto tra un “non saprei” e una bestemmia e ti presenta il piatto successivo, glissando con stile.

Arriva la pizza fritta croccante, il pomodoro con la fesa d’aglio, bandita oramai in tutto l’occidente gastronomico, i semi dei pomodori freschi per condirla e una scarola con cui giocare, pasta di salsiccia fresh e lardo nel caso in cui questa pizza si voglia trasformare in un rimando allo gnocco fritto. Niente, sei al centro, punto. Col cibo insieme a te e tutto vi ruota intorno, chef compreso.

Il paesello diventa così un punto di osservazione sul futuro della ristorazione che verrà. Lopriore ci sta solo indicando la direzione o meglio il sentiero alternativo, prendendoci per le orecchie e dandoci due schiaffoni a colpi di sapore. Infatti, si riparte da qui, è l’anno zero, da queste ciotoline brutali sul tavolo, niente piatti-dipinti, solo sapore, niente foodpride gastronomici, arcobaleni, unicorni, azoti, merluzzi negri, plancton, solo il cibo.

Missoltino spadellato, farina tostata e via, ti parte il bottone della camicia. L’affumicato nascosto ti fa pensare alla sua genialità e al genio che si nasconde al mondo e si fa uomo, diventa pane, cibo, vino, sapore e spirito santo. E voi siete lì a mangiare e godere senza ritegno, spettinati, un po’ sudati, con le mani sporche e giunte.

Amen! Ho talmente ho goduto che non mi sono nemmeno preso la briga di fotografare tutto questo e io fotografo tutto come una ragazzina quindicenne. Chissenefood, stasera si mangia.

Prendete e andateci tutti. Questo cristo peccatore dopo i Tre Cristi diventa finalmente uomo e ragno, mezzo pazzo ma con la lucida follia derivante dal pensiero ossessivo sul futuro, l’oggetto di questo nuovo capitolo della sua vita. Uno degli allievi di Marchesi, forse quello più dotato a detta di Mister Cucina Italiana si è fatto grande, si è fatto maestro ma soprattutto ha dimenticato l’ego e si è concentrato sulla gole, forse avrà fatto un semplice anagramma. P

rovato tutto ciò, il piatto impiattato da 20 chef mal pagati, decorato con un quadro di arte contemporanea urlando all’unisono “SI CHEF!” diverrà improvvisamente vecchio e crepato come un sistema che ha perso la rotta guardando alle stelle invece che ai prodotti delle stalle.

Al Portico si ritorna

Dopo Il Portico vorrete di nuovo mangiare. Punto. Vi giuro si può fare, si può tornare a mangiare nei ristoranti, è così vero e quasi commovente o magari sono le gocce di sudore dovute alla mancanza di aria condizionata che ti fanno sentire di esserti goduto l’estate e una cena, nient’altro. Mangiare. Sentite come suona bene. Cos’altro volete? Fiori eduli e azoto? Lasciamo i fiori al cimitero, l’azoto ai fortunati che si faranno surgelare post mortem, il plancton ai pesci e torniamo a mettere il cibo al centro e il cliente trasformiamolo da spettatore inutile, in commensale. Ecco, questo è esser contemporanei o forse il futuro.

O forse la sveglia che riporta un po’ tutti sul pianeta terra. Prendete la macchina del tempo verso Milano e tornate pure al passato stellato, noi ci spariamo il sorbetto alle albicocche che si scioglie con la cialda e la crema di amaretto non cotto e il caffè con la moka e un lampone porco che è differente dal porno food. Lopriore continua indaffarato a impartire ordini tra un sapere e l’altro e mette la testa in tutto quello che fa, perché lui vi osserva e sotto i baffi si compiace non di avervi stupito ma di avervi fatto stare bene.

Questo forse lo rende umano, questa la sua responsabilità e senza ragnatele, addominali o tute da super eroe ha capito che il segreto del talento, la sua responsabilità di uomo di cucina, è farvi innamorare di nuovo del cibo e farvi sentire speciali e liberi di poter mangiare in santa pace, come cazzo vi pare. E magari tornare e farlo di nuovo e di nuovo. Io dico Amen fratello, non “sì chef”. Non a caso ti chiami Lopriore.

Contatti

RISTORANTE IL PORTICO

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