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Finiti gli anni dei vini apolidi

Via libera ai vini


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Facendo il verso all’appuntamento annuale di “benvenuto Brunello” contrappongo: “bentornato Brunello”. Questo gioco verbale nasce da  una notizia insolitamente ingigantita del riconoscimento ottenuto dal Brunello di Montalcino, riserva 2004 dell’azienda Castello Romitorio di un famoso artista della transavanguardia, Sandro Chia , apprezzato a livello internazionale. Noto anche ai gourmet americani per aver affrescato il ristorante Palio’s di New York. Ebbene il premio International Wine Challenge, svoltosi a Londra, è di importanza indubbia: circa 10 mila assaggi da parte di giudici competenti e , senza nulla togliere al vino di Chia,già produttore eccellente dagli anni’ 80, questi concorsi in genere, con degustazioni alla cieca, sono sempre una tombola. In special modo quando le categorie (bianco, rosso, spumante etc ) sono  aperte a tutti i vini e non ristrette per singoli vitigni o per uvaggi. 


Non è mia intenzione con queste note sminuire il Brunello di Castello di Romitorio, così come un altro Brunello, quel Casanova di Neri 2001, che, un paio di anni fa conquistò la vetta del mondo da parte di Wine Spectator. Anzi è una panacea il riconoscimento al Castello di Romitorio, in questi periodi non certo felici per il Brunello di Montalcino; il pubblico dei consumatori, specialmente americano ed anglosassone, è notoriamente  molto influenzato dai media.

Negli ultimi tempi questo rosso di razza, vanto per decenni dell’Italia vinicola, è infatti sotto la gogna della procura di Siena, dei rumors e delle querelle più velenose. Chiariamo meglio: sotto inchiesta e all’attenzione dei media sono solo alcuni produttori non l’intero universo di questo grande vino, inventato, dai Biondi Santi.


Pare infatti sia stato scoperto che alcuni produttori abbiano violato il disciplinare storico che prevede l’utilizzo del 100% di uve sangiovese, aggiungendo nell’uvaggio oltre a questo vitigno, uve diverse (merlot o cabernet) per soddisfare il cosidetto gusto internazionale, in particolare per piacere ai consumatori anglosassoni e americani, così appassionati e amanti di questa gloria Toscana, ma omologati nel gusto dai vini del Nuovo Mondo. 


Questo premio a Chia, ma non solo, comincia a mostrare un altro lato della  medaglia, la domanda di mercato richiede sempre  più quei vini “unici”, ottenuti da un mix di territorio e vitigni locali con un’identità, impossibile da imitare. I mercati internazionali, al di là di una evidente crisi economica, cominciano a non tollerare più vini apolidi, tutti uguali, possibili da ottenere in ogni dove. Insomma il riconoscimento della giuria International Wine Challenge, per quanto possa valere in un contesto internazionale, mostra quanto oggi sia bizzarro cercare a tutti i costi essere “globali” o meglio, piacioni, attraverso appunto l’esasperato utilizzo di vitigni apolidi o, in altri casi, con il ricorso “forzato alle barrique” (vini dei  falegnami).


Sicuramente positiva in questa direzione è stata la decisione presa dal Consorzio dei produttori del Brunello di Montalcino di confermare il disciplinare storico di produzione di solo Sangiovese. Chissà se il presidente del consorzio, Ezio Rivella, nonostante la sua fede vinicola internazionalista, abbia “annusato” un’ evoluzione della domanda “gustativa” nei prossimi anni. Sine qua non 


Davide Paolini 

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