Dove va la nostra gastronomia?
Made in Italy insediato da materie prime straniere
pesci che arrivano da ogni parte del pianeta, mentre sempre più raro è il prodotto delle acque italiane. Anzi, ci sono specie, spacciate per altro: lo smeriglio per pesce spada, lo stesso pangasio per filetto di cernia, il filetto di brosme per baccalà; per non parlare poi di specie vendute come nostrane in arrivo dal Mozambico, Marocco e Turchia. E poi ancora le uova per la produzione di bottarga spesso non appartengono a tonni e muggini che sguazzano in acque nazionali.
Che male c’è si potrebbe obiettare; quanti salumi (Dop e Igp) contengono carne di maiale made in Italy o quanti formaggi latte nostrano al 100 per 100%? E quanto olio dei nostri ulivi le bottiglie del pregiato extra vergine? Verissimo! Forse ci vorrebbe la correttezza di comunicarlo o almeno il pudore di non spacciare la materia prima come locale. Tra l’altro sono arrivate sul mercato nuove realtà come “il Gran Moravia”, un formaggio dalla stessa forma dei famosi grana italiani, con certificato di rintracciabilità, prodotto dalla famiglia Brazzale di Zanè in Moravia (repubblica Ceca), con latte di mucche locali applicando la grande arte casearia nostrana. Alla Brazzale rispondono che non è una fuga per i costi, bensì delle condizioni ambientali del territorio. Può essere un campanello d’allarme per i nostri giacimenti gastronomici? In questo caso non è “taroccato” il nome (come parmesan o i tanti nomi storpiati ad hoc negli Stati Uniti di numerosi formaggi italiani) ma è un prodotto di pura tradizione italiana con l’indicazione di un altro territorio, che si confronterà con il prezzo, la qualità e nuovi parametri (sostenibilità, tracciabilità etc) dei concorrenti made in Italy.
Dove è finita l’Italia, vanto del mare nostrum? Certo i mari sono stati saccheggiati con violenza, svuotati da una politica ambientale cieca e da una pesca, a volte selvaggia, criminale. Non è certo possibile recuperare in pochi anni. Per questo è impellente porre dei controlli ferrei alle importazioni, visto anche come veniamo trattati nei mercati internazionali. Da quanto si sussurra nel mercato ittico di Milano, infatti, gli esportatori portoghesi di pesce pretendono pagamenti addirittura anticipati dai commercianti italiani, altrimenti la merce non lascia il Portogallo. Che reputazione per il nostro Paese!
Certo il mercato è ormai globale, internet ha allargato a dismisura il commercio, ma vogliamo anche buttare al vento un valore straordinario, economico e turistico, come la gastronomia? Poi cosa ci resta: trastullarci con la chimera del chilometro zero mentre affoghiamo tra olio, pesce, carni, latte che arrivano da migliaia di chilometri per compensare le nostre “carenze” o alimentare il tarocco?