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Chef o cucinieri?

I giovani idealizzano il lavoro in cucina senza realizzare l'importanza della gavetta


Oggi il modello tra i giovani è lo chef, ieri nessuno o quasi aveva questa forte attrazione per pentole e padelle. Massimo Bottura, Carlo Cracco, Davide Oldani e altri hanno preso il posto delle rock star, dei calciatori e dei tronisti nelle aspirazioni giovanili. Masterchef è ambita al pari di X Factor. Ma sognano di fare gli chef, non i cuochi di trattoria o gli spadellatori. Lo chef è ormai un mito, a cui rifarsi, costruito dal bombardamento mediatico soprattutto dai canali tv, che mandano in onda la cucina spettacolare di Jamie Oliver e Gordon Ramsey. Nondimeno questi nuovi divi, italiani e stranieri, occupano grande spazio sui quotidiani, riviste patinate e non, come mai in passato. Hanno fatto il grande salto dai noiosi magazine di ricette, destinati a casalinghe per prendere per la gola i mariti, ai settimanali di gossip. E così nato un modello vissuto dai giovani come mezzo in grado di generare notorietà, viaggi e una vita agiata. 


Il modello dello chef è per i giovani pretendenti ai fornelli, un creativo alla Ferran Adrià, un fantasioso che usa bolle d’aria, sferizzazioni, effetti cromatici come Blumenthal, un trasgressivo giramondo come la star tv della prima ora, Anthony Bourdain, insomma tali alle rock star o agli artisti di pop art. Insomma un modello lontano dalla realtà dove è necessaria la gavetta: sbucciare le patate, pulire le verdure, sfornare il pane, impastare, sfilare il pesce e restare nell’ombra. Molti di quegli chef oggi sulla cresta dell’onda hanno vissuto sulla loro pelle questo duro apprendistato di cucina. 


Il pericolo dello stereotipo, oggi idealizzato da molti giovani aspiranti per diventare i saltimbanchi di pentole e padelle in tv, è di non avere coscienza del primo passo: saper fare il cuciniere. Ovverosia vivere le difficoltà quotidiane, rinchiusi nella propria cucina, magari in borghi sperduti, a sperimentare piatti su piatti e, spesso, dover rinunciare alla professione forse perché per diventare chef di successo, oltre alla gavetta, ci vuole anche una dote, non comune: il talento, che non si tramanda, né s’impara. Non tutti, anzi pochi, nascono o diventano compositori, tanti invece possono essere mediocri esecutori, un concetto che nasce dalla musica, ma può essere trasferito anche alla cucina. Forse proprio questo paragone può spiegare, in chiave attuale, la differenza fra chef e cuoco o cuciniere, tralasciando la scontata distinzione che vuole lo chef, come interprete-regista della cucina, nel cuoco invece l’esecutore.


Sine qua non

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