Torna a inizio pagina

Che piacere al tavolo dello chef!

Mangiare in cucina


Leggi il domenicale!

Sarà curiosità o desiderio di vedere il gioco di squadra di una cucina?  Oppure la vanità di sedersi laddove c’è una richiesta di settimane d’attesa? In questi ultimi anni i tavoli di tanti ristoranti stellati non sono sempre occupati, ma uno solo è sempre “riservato”, anzi c’è l’attesa di settimane. 

E’ il tavolo dello chef, ovvero la possibilità di assistere alla creazione dei piatti facendosi servire nella cucina stessa. Un’invenzione, partita dall’estero ma negli ultimi anni ha avuto un grande successo anche in Italia, anni fa, all’apertura, a Milano, dell’allora Cracco-Peck (oggi Cracco), dove in uno spazio assai piccolo, simile ad una capsula spaziale, possono mangiare 3-4 persone sbirciando lo chef che dà l’ultimo tocco alle pietanze.

Di grande respiro è invece il tavolo di Sergio Mei, chef del Four Season di Milano (può arrivare a 10-12 coperti ) dove, tra l’altro il privilegio di gustare in cucina si ha anche durante il branch (difficile tradurre…) domenicale, dove i cibi sono di grande qualità , esposti con grande sapienza, a cominciare dalla stanza del cioccolato il cui profumo invita all’ assaggio, nonché un servizio professionale, supportato da una decina di cuochi.

Spettacolare il tavolo dello chef, costituito da un palco di cristallo sopra la cucina del ristorante Luce di Varese (chef Matteo Pisciotta) dove si può assistere dall’alto ai vari movimenti di tutti i cuochi. Addirittura a contatto con lo chef, mentre mette a punto (è un manierista! ) il piatto, è il tavolo solo per due di Nino Di Costanzo al Mosaico di  Casamicciola (Ischia). Qui sembra di cenare davvero con l’autore delle pietanze perché si può, non solo guardare, ma scambiare impressioni e chiedere spiegazioni. 

Certo gli antesignani del “table’s chef” sono altrove: negli Stati Uniti, dove negli anni’80-90, avere un posto a “Le Cirque” era davvero proibitivo, in Francia da Bocuse, così come a Londra da Antony Mosimann al Dorchester di Londra, ora da Gordon Ramsey o al Connaught, ma la grande novità è il tavolo dello chef  nel nuovo locale di Heston Blumenthal, “il Dinner” nel Mandarin Oriental Hotel.

Sempre a Londra il “table’s chef” è interpretato pure in modo diverso nel locale modaiolo “Zuma”: trattasi di una saletta dove lo chef giapponese manda sei o sette pietanze da condividere. E poi non si contano le cucine a vista a cominciare dall’ Albereta di Gualtiero Marchesi o dall’ originale cucina di Vite di Coriano (Rimini). Mostrare le cucine e la manualità dei cuochi è un’arma in più per giudicare dopo una cena! Sine qua non!

Davide Paolini 

ADV