Astinenza da ristoranti
I sogni son desideri (di ristoranti)
Mamma mia che sogno! Un vero e proprio incubo culinario, quasi fosse una notte insonne per la calura con la mascherina. La causa, una volta sveglio, mi è stata subito chiara: la conseguenza della grave e lunga astinenza da ristorante. Quanto mi mancate chef, osti, trattori al punto che nella notte ho rivissuto un flash back dei vostri piatti, dei locali, delle facce che, da anni, mi sono familiari, da tempo però lontane. La verità è che, da ottobre, non mi sono seduto in un locale, dove la passione e il lavoro mi “costringono” (si fa per dire) a passare ore, tra un piatto e l’altro, tra una ciacola e un calice di vino.
La prima visione di cui ho un ricordo distinto sono le cicale di mare, vive e saltellanti, nella cesta del pescatore locale, mentre faceva ingresso nella cucina di Romano a Viareggio. Dopo pochi minuti, ho visto quei crostacei nel mio piatto, ho sentito quel profumo di mare, il retrogusto dolce (lo ritrovo pure nelle canocchie in Romagna), pulito dal Pinot Nero francese che Roberto mi decantava. A seguire il piatto che, più di ogni altro amo da Romano, ovvero quei minuscoli calamaretti ripieni di verdure e crostacei, che ho gustato, seppure nell’inconscio, con grande voluttà.
Il mio film, nell’incoscienza notturna, è proseguito con lo gnocco fritto, culatello e parmigiano, servitomi da Pietro dell’Osteria delle Vigne; che profumo! Quel formaggio, il tutto seguito dalle lasagne, ricche di besciamella e ragù. A questo punto nella narrazione si è inserita, a sorpresa, mia nonna Teresa, cuoca straordinaria, interprete delle mie amate lasagne e, come un flash black, l’ho rivista ai fornelli. La scena da Pietro è continuata con l’arrivo in tavola del gelato alla crema (con scorsa di limone) che mi ha dato un brivido di freddo, forse mi ha pure svegliato.
Il framezzo (Artusi lascia il segno nel linguaggio) è durato poco, seguito dall’apparizione del locale Rovello 18. Michele, il cuoco, mi ha raggiunto al tavolo, dove sedevo con l’amico Helmut, di fronte ad una bottiglia di Barolo Rinaldi del 1999 (ho visto chiaramente il vintage).
Quindi mi ha servito una cotoletta, che occupava tutto il piatto, carne del macellaio Franco di Romanengo ha precisato. Un abbinamento davvero azzeccato ho pensato, purtroppo non sono riuscito più a contare i calici di Barolo. Non so, ho il sospetto di essermi ubriacato nel sogno, perché ho continuato a passare in rassegna bottiglie e bottiglie: un trebbiano Valentini del 1988, un’etichetta, che non ho ben distinto perché rovinata, mi pare fosse Bellendorf pinot nero 1981, ma non ci giuro; poi ancora un Case Basse 1990 di Gianfranco Soldera.
Le visioni, ahimè, sono state interrotte dall’irruzione di due carabinieri che, minacciosi, hanno urlato: “fuori i documenti! Lei è in multa, qui è zona rossa, vietata la cena al ristorante”. Tremando, mi sono svegliato di soprassalto.