Altro che botte!
L'evoluzione dell'affinamento del vino in 3 vignaioli di frontiera
Il vino a differenza di altri prodotti, nel tempo e grazie alle innovazioni, ha avuto evoluzioni continue.Via via il vigneto ha cambiato faccia, dalla naturalità dei terreni in tempi ormai lontani, sono comparsi poi i pesticidi che hanno provocato allarmi continui per la salute. Così, piano piano, sono cresciute le coltivazioni dei terreni bio, poi quelle biodinamiche con un richiamo, chi al filosofo Rudolf Steiner, chi al giapponese Masonubu Fukuoka. Non di meno sono cambiate le lavorazioni in cantina, in particolare la fase di affinamento: dalle botti grandi alle barrique, ai fermentini.
A questo proposito mi ha colpito l’incontro tenutosi a Milano Golosa (lo scorso 17 ottobre) su: “Pietra, vetro, porcellana: nuove vie per il vino?”, promosso da WineMi (la rete che raggruppa 5 enoteche milanesi: EnoClub, cantine Isola, La Cantina di Franco, Radrizzani, Enoteca Ronchi). Tre produttori di “frontiera” (Benjamin Zidarich, Stefano Amerighi e Fabio Gea) hanno raccontato le loro esperienze di vinificazione e affinamento in contenitori diversi dal legno e dall’acciaio.
Ebbene Benjamin Zidarich, noto per la Vitovska, vino bianco autoctono, ha cominciato a vinificare in tini di pietra del Carso dove è radicata un’antica tradizione di questo materiale naturale. Una volta raccolta, l’uva viene diraspata e messa nella vasca di pietra, dove avvengono la fermentazione, la macerazione (le bucce restano per 18 giorni), quindi travasata e messa in botti di legno.
Stefano Amerighi pratica la biodinamica da sempre nella sua azienda agricola a Poggiobello di Farneta (dove ci sono anche coltivazioni di cereali, ortaggi, frutta e allevamento di bovini). Qui ha trovato le condizioni ideali per produrre un eccellente Syrah (vino poco diffuso in Italia). Amerighi è anche protagonista di un’esperienza maturata nei Monti Sibillini, ad Arquata del Tronto (oggi devastata dal terremoto) dove, dal 2012, affina il pecorino in damigiane da 54 litri.
Mentre Fabio Gea, vignaiolo del Bricco di Neive, una delle menzioni del Barbaresco, ceramista e agricoltore nonché autore di alchemiche esperienze, ha progettato contenitori vinari realizzati in particolari ceramiche cotte ad alte temperature, come i grès e le porcellane per le sue proprie specifiche esigenze vinicole.