Sodaccio di Montevertine 1997
Immortalità del vino, rubino liquido e armonia assoluta: la visione di due uomini lungimiranti, Sergio Manetti e Giulio Gambelli.
Un giorno, quasi per caso, vado a trovare un amico con cui mi fermo a pranzo. In modo altrettanto (non) casuale, m’imbatto in una cantina che appartiene al momento storico del vino che più amo, con numerose bottiglie conservate dai primi anni ‘80 alla fine degli anni ’90. La scelta è difficile, le etichette che catturano i miei ricordi e mi sorridono sono molte. Come insolitamente capita a un appassionato di Nebbiolo, mi decido nella scelta e colgo un Sangiovese.
Montevertine è una delle aziende preferite e quella che per prima, insieme a Sassicaia e Tignanello, ha contribuito a creare il mito del vino super di Toscana. Si tratta di un assemblaggio a base Sangiovese e una piccola parte di Canaiolo. Il vino si chiama Sodaccio e sostengo che rappresenti l’espressione più pura, vera e autentica della territorialità chiantigiana.
Il colore lascia già percepire una trasparenza ormai rara nella terra toscana, invasa da Merlot e Cabernet; mi esalta quel leggere attraverso al calice inclinato, che appartiene, a mio avviso, all’enologia più raffinata. Il profumo non mente. Un naso perfetto. Il termine perfetto, riferito al nettare di Bacco, non necessariamente corrisponde a una estremizzazione di tecnologia e di cantina, anzi.
Un vino che abbraccia con estrema armonia tutte le principali descrizioni del vino, passando dal fruttato autunnale alle sfumature più sensuali dei fiori secchi per seguire poi, dopo qualche minuto nel calice, alle sensazioni più eteree e legate agli aromi speziati che ricordano le migliori erboristerie di paese. Qui assume un significato quanto mai incisivo il termine “bouquet”, ovvero quell’insieme di profumi (straordinari) derivati dalla perfetta vinificazione e affinamento, prima in cantina e poi in bottiglia dell’uva giunta a perfetta maturazione.
Il palato, cosi come l’olfatto è integro, ancora croccante nella freschezza e in equilibrio con tannini di rara sensualità. Un grande vino da bere, da solo o in abbinamento ai piatti della terra più raffinati, pensando a quelle due pietre miliari dell’enologia italiana ormai scomparse ma che vivono intensamente ancora in queste bottiglie.
Contatti
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