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Selvatico o allevato?

Pro e contro dei prodotti ittici catturati e d’acquacoltura


Partiamo da un assunto: in Italia, solo il 30% del pesce che consumiamo proviene dalla cattura in mare (o fiumi e laghi se si tratta di pesce d’acqua dolce), mentre il resto deriva da allevamenti. Per soddisfare la richiesta attuale, infatti, le risorse ittiche selvatiche non sono assolutamente sufficienti ed il trend è in continua crescita: si stima addirittura che, entro il 2050, ben l’85% del pesce venduto in tutto il mondo proverrà da acquacoltura. Ma quali sono i pro e contro dei prodotti ittici selvatici e d’acquacoltura?
 

Certamente il prodotto catturato in natura ha caratteristiche organolettiche di gran lunga superiori: i pesci vivono e crescono secondo i loro ritmi naturali e si nutrono in maniera varia di ciò che il loro habitat offre. Ma veniamo ai punti dolenti: i pesci selvatici sono spesso però più cari di quelli d’allevamento, anche perché più costosi da catturare, presenti in minor quantità e sottoposti ad una richiesta superiore alle risorse; inoltre, in alcuni periodi dell’anno, non possono essere pescati se in periodo riproduttivo o migratorio (la famosa stagionalità).

E non è finita qui: siamo abituati a pensare ad un pesce catturato in mare aperto come la cosa più pura e sana, ma non sempre è così; se parliamo di grossi pesci predatori, come il tonno o il pesce spada , il rischio è quello di portarci a casa, insieme ad un gustoso filetto, anche i metalli pesanti depositati nella carne; oppure di incappare in un animale che, oltre ad acque pure e cristalline, si sia fatto una bella nuotata in mari sporchi ed inquinati.


Per il pesce d’acquacoltura invece, la grande differenza la fanno i metodi di allevamento. Le vasche o le gabbie, ancorate in mare, posso ospitare anche moltissimi esemplari. Quando però la densità si fa troppo alta (parliamo di acquacoltura intensiva), gli animali, costretti in uno spazio ridotto, corrono il rischio di ferirsi, oltre ad essere sottoposti ad un forte stress  (cosa che influisce anche sulla qualità del prodotto). Per evitare il propagarsi di malattie ed infezioni perciò, gli allevatori, proprio come avviene nell’industria della carne, sono costretti ad addizionare l’acqua con antibiotici ed altre sostanze chimiche. L’acquacoltura estensiva invece, prevede una minor concentrazione di animali, che hanno così una maggior libertà di movimento, a tutto favore della qualità del prodotto finale che, in molti casi, non ha nulla da invidiare a quello catturato. 

L’alimentazione utilizzata negli allevamenti è fondamentale: i pesci vengono nutriti con farine che possono essere di origine animale o vegetale e addizionate o meno con oli di pesce. Dalla composizione del cibo dipende ovviamente anche la qualità del prodotto finale, sia dal punto di vista organolettico e gustativo, che da quello del contenuto in acidi grassi Omega-3 ed Omega-6 (nel caso di farine vegetali, ad esempio, la quantità dei primi diminuisce, mentre aumentano i secondi).

L’allevamento infine, assicura maggiori garanzie per quello che riguarda la tracciabilità e la sicurezza del prodotto, a tutto vantaggio del consumatore. 

 

In sostanza, sia i pesci allevati che catturati hanno pro e contro. Prima di decidere se fare una scelta o l’altra, ricordiamoci di prendere in considerazione questi fattori: gusto, prezzo, stagionalità, sostenibilità ambientale e tracciabilità.

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