Il riccio di mare o bogamarì
Si pesca d'inverno nelle fredde acque del Mediterraneo
I bogamarì buoni (come li chiamano ad Alghero), quelli giusti da pescare, hanno aculei marroni, rossicci, giallognoli o violacei, e forse proprio questi colori, che li distinguono dal nero di altri esemplari, hanno portato le tradizioni popolari a chiamarli ricci-femmina. Macché femmina!
In realtà, il riccio di mare, paracentrotus lividus, è una specie ermafrodita, esattamente come l’arbacia lixula, volgarmente detta riccio-maschio, che però non è di interesse alimentare. Biologicamente, sarebbe errato anche parlare di uova: quelle perline morbide rosse, arancioni o gialle, che si trovano dentro l'endoscheletro, sono gonadi, ghiandole che producono cellule maschili e femminili e che, intinte nel pane o raccolte con il cucchiaino, riescono a sprigionare l’odore e il sapore del mare, degli scogli dei fondali limpidi dove si rifugiano i ricci.
Frutto di mare prezioso, gustato per lo più appena pescato, il riccio è mangiato in molti litorali italiani soprattutto d'inverno: sia in salento che in Sicilia o in Sardegna, la sua raccolta è tutelata da una rigida regolamentazione, che stabilisce debba avvenire solo manualmente, semmai con l’aiuto di attrezzi a specchio e al rastrello. La legge vieta la pesca professionale e sportiva nei mesi di maggio e giugno. Le modalità con cui i ricci sono colti dal mare sono legate indissolubilmente alla realtà artigianale di queste regioni perché, per scovarli, bisogna innanzitutto chiedere ai pescatori, alla gente del posto, che conosce per esperienza i luoghi migliori. Anche per mangiarseli.
In molti li accompagnano alla pasta e c'è persino chi li mette sulla pizza. Essendo un prodotto la cui pesca si concentra prevalentemente in un solo periodo dell'anno, non sono mancate le aziende che hanno ideato la “polpa di riccio” in scatola: confezionata in barattoli di latta o vetro, sotto acqua e sale, è mantenuta inalterata dall’acido citrico. A ciascuno il suo!