Bottiglie di vino parlanti
Ogni vino racconta una storia
Bottiglie di vino parlanti. Non è una nuova denominazione, già ne esistono in abbondanza, bensì sono quelle che raccontano la storia del vino, del territorio, soprattutto dell’uomo vignaiolo o produttore. Cronache che spesso toccano rapporti personali. Mi succede infatti, di fronte ad un’etichetta, spesso rara o vintage, di far scorrere nella mia memoria ricordi che mi riportano all’autore di quel vino.
Così, il raro “Il Novantuno” e “L’Ottantanove” o le originali etichette di Pergole Torte e di Cannaio di Montevertine mi trasportano agli incontri dei primi anni Ottanta, con questo singolare personaggio, Sergio Manetti, industriale siderurgico di sinistra, entrato con non poche polemiche nel mondo del vino chiantigiano, ma sostenuto da Giorgio Pinchiorri, ha rilanciato quel rosso toscano, allora troppo legato alla tradizione.Un uomo colto, nella sua casa di Firenze, ricca di libri d’arte, abbiamo avuto discussioni spesso colorate sulla cucina e, in particolare su Pellegrino Artusi, di cui Manetti ha pubblicato un originale libello artistico.
Di fronte alle bottiglie di “Ai Suma” e “Bricco dell’Uccellone” la memoria va in tilt, così mi appare il vulcano Giacomo Bologna, rivoluzionario della Barbera (sebbene io sia allergico alla barrique, ma la storia è storia). Quante zingarate anche con l’onnipresente Maurizio Zanella (Ca’del Bosco), un amico di cui la bottiglia Chardonnay 1983 (credo sia la prima annata) mi riporta al nostro primo incontro a tavola. Come posso dimenticare una vera e propria battaglia a Parigi, nel primo locale, Jasmin, dello chef Joel Robuchon, che respingeva un ordine eccessivo di piatti di Bologna e Zanella? Oppure a Colonia, in un elegante locale stellato, dopo un lunga e tirata trattativa per poter gustare uno Chateau d’Yquem 1978, chiuso in una vetrina con la scritta “collezione privata, non in vendita”.
Uno scaffale di vini, può davvero trasformarsi in una galleria di personaggi, spesso cavalli di razza, bizzarri, così come l’autore dei vini “Bellendorf”, nonché rallysta Giorgio Grai. La sua abitudine, che tuttora mantiene, è di dare appuntamenti con tempi impossibili da “casello a casello”, lui ci riesce, ma sono rischi per chi volesse essere puntuale. I suoi giudizi pungenti mi riportano a momenti imbarazzanti come quando un piccolo produttore romagnolo gli chiese un giudizio sul suo vino e lui: “che mestiere svolge”, la risposta: “il bancario”, a cui Giorgio lo fulminò con: “continui a lavorare in banca”.
Le etichette “Valentini” mi fanno tornare, quando ancora in vita, il fondatore dell’azienda, avvocato Edoardo Valentini, ha escogitato uno stratagemma per far sì che le sue bottiglie di Trebbiano d’Abruzzo non sparissero in viaggio, ma arrivassero a destinazione. Mi ha spedito questo eccezionale vino nella scatola che riportava la scritta: “Cerasuolo”, così ho potuto finalmente gustarlo.