Torna a inizio pagina

Zona gialla: un pranzo al ristorante

In zona gialla, un piccolo ritorno alla vita normale con un pranzo al ristorante in tutta tranquillità


Durava da lungo tempo, dal 14 ottobre, inizio del lungo lockdown, l’astinenza da pranzo in un ristorante. Confesso di essermi sempre attenuto ai provvedimenti (della zona rossa) ovverosia, con grande sacrificio, niente pranzo o cena fuori casa o aperitivi vari.

L’annuncio dell’arrivo della zona gialla mi ha messo in movimento un certo languorino, pregustando finalmente un locale dove sedermi, ma non certo per il cibo e il vino, ma per rivivere l’atmosfera di tavoli apparecchiati, vociare dei commensali, la giostra di camerieri, il contatto con il cuciniere.
Zona gialla riapertura ristoranti
Una scena di ritorno alla normalità, anni luce lontano dai tempi in quarantena: la scelta dei piatti, del vino, lo scambio di opinione su ciò che si sta mangiando e bevendo, un commento, a distanza of course, con i tavoli vicini.
Il tutto mi ha richiamato alla mente un romanzo “la prima sorsata di birra e altri piaceri della vita (di P.Delerm)” mentre centellinavo un calice di bollicine con salsa rosa vintage, resa contemporanea dalla creatività “controllata” del cuoco, con scampi appena scottati.

L’atmosfera, il momento, l’ambiente hanno trasformato questa proposta semplice in un piatto iconico da porre nella valigia dei miei ricordi sensoriali. Non a caso, ho sempre sostenuto con forza che non è il cibo che fa diventare galeotta una serata a due, come sosteneva Omero Rompini, medico catanese, autore di menu per brune o bionde da conquistare nel suo “La Cucina dell’amore”.

In quel mezzogiorno di nuova iniziazione al ristorante, al di là del cibo, davvero ottimo, ho infatti continuato con una minestra di fregola e pesce, ma dopo ogni cucchiaio ero assai distratto dai commensali, bardati delle più svariate mascherine, che, prima di toglierle al tavolo, controllavano, preoccupati, a destra e a manca il comportamento degli altri clienti, quasi avessero pudore nel restare senza.

Che tristezza osservare, seppur prima di sedere ai tavoli, uomini e donne così costretti, quasi fossimo in un’astronave nello spazio, con l’imminente arrivo degli alieni.
Poco, a poco, quando tutti i tavoli sono stati occupati, ho avuto la sensazione di un possibile ritorno alla vita normale, per almeno un paio di ore, così ho rubato ai vicini di tavolo commenti sulla cottura del polpo; ho osservavo un padre premuroso che insegnava al piccolo a tagliare la carne con il coltello e un cameriere che portava una torta con una candelina.

Di solito nei locali, quando si assiste a scene di compleanno, dai tavoli vicini si alza il coro: happy birthday, ma stranamente non si è mossa una foglia: che fosse pudore di non disturbare o il coronavirus ha fatto sì che ognuno ormai fosse chiuso al mondo, quasi a difesa del proprio “io”? Non era così, quando “andrà tutto bene”, costituiva un passa parola che univa anche gli sconosciuti. Dimenticavo, ho concluso il mio “primo” pranzo nel 2021 con un altro piatto vintage: un soufllè.

ADV