In un brodo di viole
Tempi di crisi, torna la cucina a base di fiori e verdure
L'insegna della sua trattoria a Frascati era D'Artagnan (al secolo Sandro Fioriti): negli anni 80 fece scalpore per i suoi piatti a base di fiori: insalata di rose, tulipani dorati e fritti, frittata di margherite, garofani in pinzimonio. Oggi non sarebbe più un diverso perché fiori e frutta in cucina sono di moda, sempre più diffusi assieme a pesci poveri: baccalà, acciughe, suro, palamita, alalunga. Attualmente Sandro Fioriti nel suo locale di New York (Sandro's) serve la miglior pasta all'amatriciana che abbia mai gustato, ancora una volta, per non smentirsi, contro tendenza al «green» americano imperante.
È scontato che la cucina subisca le influenze socio-economiche del momento: il minimalismo ha avuto influenze nella nouvelle cuisine, la globalizzazione nella fusion, la tecnologia e la scienza trovano chiaro riscontro nella cucina molecolare. Non siamo di certo a un ritorno della generazione dei figli dei fiori, ma di certo la tendenza della società corre verso il verde: agricoltura sostenibile, alimentazione bio, lotta alla riduzione di gas serra. Così, come sempre, anche in cucina c'è chi sale sul carro del vincitore per opportunismo e chi invece è consapevole delle scelte.
Fiori, erbe officinali, frutta, prodotti poveri, in cucina sono sicuramente retaggio del passato, quando, per rifarsi agli scritti di Petronilla della «Domenica del Corriere» negli anni 30 dominava «la cucina del nulla e del niente»: zuppa di violette, insalata di margherite, dolci dal profumo di dalia. Oggi non sono più l'unica e sola offerta, un'ancora di salvezza per nutrirsi: è una scelta di un'alimentazione più salubre e socialmente utile.
Milano, da sempre ritenuta non di certo una città ecologista, ha una rete di «urban green» e di orti comunali impressionante (circa 28mila metri quadrati di terreno e 470mila postazioni). Inoltre nella città della Madonnina c'è un leader dell'utilizzo in cucina di fiori, frutti dimenticati, verdure, erbe officinali, miele: lo chef Pietro Leeman del ristorante Joia.
Attualmente l'esercito verde è cresciuto, molti sono i locali a far ricorso al sambuco, in stagione, oppure al nasturzio, alle robinie piuttosto che al luppolo, alle ciliegie, alle pesche, ai bruscandoli per creare dei piatti. C'è chi li mette in tavola perché «fanno tendenza» ma c'è pure chi da sempre ne ha fatto uso. Così come il ricorso sempre più frequente ad acciughe (alici o sardoni secondo usi locali), al baccalà, al pesce azzurro un tempo relegati ai banchi di fiera, oggi promossi in grande pompa nei menu stellati. Solo 10 anni fa il ristorante la Frasca di G. Bolognesi mise nelle carta un grande piatto: «tartare di pesce azzurro»; fu costretto a sostituire la dicitura «pesce azzurro», divenne così un successo...
L'altro segnale che arriva è una ricerca di semplicità in cucina promossa da una grande attenzione alla salute e soprattutto alla spesa. Quando si parla di mode, nelle tavole di casa e nei locali la scommessa più ovvia è: quanto durerà? Possiamo così porci questa domanda a proposito di fiori, frutti dimenticati, erbe, acciughe e baccalà, come fu a suo tempo per la nouvelle cuisine, per la rucola, per il sushi, per i vini dei falegnami (pardon in barrique). Ebbene c'è una grande differenza: siamo di nuovo nell'era della cucina del nulla e del niente perché i portafogli sono sempre più vuoti. Forse i consigli di Petronilla torneranno di moda, magari con una trasmissione televisiva.