Bologna, si mangia tradizionale e senza chef rockstar
La storia della buona cucina è il marchio della capitale emiliana
È davvero bizzarro che Bologna abbia sempre avuto fama di “mangiar bene” mentre, di fatto, non abbia mai avuto una ristorazione di livello riconosciuta dalla critica. Forse la percezione dell’opinione pubblica è sempre stata colpita dalla succulenza dei prodotti: tortellini, lasagne, ragù, cotoletta, i salumi. O forse ancora dalla tradizione della buona cucina familiare. Una dicotomia gastronomica che è propria anche di altre città (Napoli).
Ebbene per l’edizione 2012 della “Guida dei ristoranti del Sole 24 Ore” che curo, ho voluto dare molto attenzione alla “Grassa”, impegnando un bravo e colto 007 nel raccontare i locali della città, per disporre così di una fotografia direi molto obiettiva. È emersa così una realtà dove, com’era noto, non ci sono chef rock-star, oggi incontrastati protagonisti delle cronache culinarie, ma una ventina di ristoranti, dove soprattutto sono presenti piatti tradizionali. Un termine assieme a “territorio” più presente, quasi a voler significare che: fantasia, creatività, innovazione, Ferran Adrià, cucina molecolare nella ristorazione cittadina siano inesistenti. L’eccezione è rappresentata dall’unico locale recentemente decorato da una stella, ma, guarda caso, lo chef è di origine tedesca. Che significa questo? Innanzitutto un interesse guidaiolo solo alla novità, indirizzato più allo chef che al cuoco o al cuciniere, più al piatto food design che alla sostanza.
Un altro aspetto che balza all’occhio dalla lettura della ventina di locali nella Guida è la presenza della cucina di pesce, ma da cui risalta una scelta “azzurra” (sgombro, alici, canocchie etc) piuttosto che scelte ittiche esotiche. Una riconferma di una cucina territoriale, semplice, senza svolazzi, e per fortuna non contaminata dalla proliferazione della sushi-mania o dall’invasione di capesante in ogni piatto, a proposito e a sproposito come altrove.Purtroppo la normalità, la tradizione, i cuochi e i cucinieri non fanno tendenza. Soprattutto la mancanza di un leader chef rock-star, in grado di accendere i fari sulla gastronomia bolognese, non aiuta.