Come si fa la mostarda di mele biellese
La mostarda di mele biellese non va confusa con la comune conserva a base di senape. È un prodotto ricercato che non si fa quasi più
Concludiamo il nostro piccolo viaggio nel mondo della mela, con un prodotto assai interessante e unico: la mostarda biellese.
Non la solita mostarda
La mostarda biellese è una salsa cremosa, di consistenza simile alla maionese, il cui nome deriva da mosto - cioè succo di frutta fermentato - e non ha nulla a che vedere con le salse piccanti a base di senape che si definiscono mostarde, mutuando il termine francese moutarde (senape).
La preparazione della mostarda è molto semplice: si fa sobbollire il succo di mela in un paiolo di rame per 12-14 ore, fino a che per evaporazione si concentrano gli zuccheri. Non si aggiunge nulla, solo succo di mele in purezza, fuoco, tempo. Alla fine della cottura il ph dovrebbe essere acido, il prodotto è batteriologicamente puro e si può conservare anche vent'anni!
Lavorando con il metodo tradizionale, da 1 quintale di mele si ottengono circa 35 litri di succo e non più di 3 litri e mezzo di mostarda: non stupisce che si faccia sempre più raramente, anche se un tempo ogni famiglia preparava in casa questa salsa.
Come abbiamo imparato all'inizio di questa esplorazione, il Biellese annovera un numero importante di mele autoctone, l'uso delle quali rende il prodotto del tutto originale.
Come si faceva la mostarda biellese?
Grazie alla ruvida cortesia di Marco Maffeo, di cui vi ho già parlato qui (link) e che è stata la mia guida alla scoperta del frutto della conoscenza, ho potuto assistere a una dimostrazione di come si faceva la mostarda in famiglia.
Nella cascina di Marco ci sono pressa e torchio appartenuti ai suoi nonni e che sono stati rimessi in funzione per soddisfare la mia - e vostra - curiosità. Anche noi, come i protagonisti delle interviste del suo libro Pum e Pumme, siamo partiti da mele belle e sane di qualità differenti, per rendere equilibrato il sapore della mostarda.
La pressa di Marco è motorizzata, ma in questa occasione ha voluto che tutti i passaggi fossero fatti a mano, come un tempo, perché fatica e pazienza sono il condimento migliore che ci sia.
Se avrete la pazienza di guardare il video, capirete cosa intendo.
Si tagliano le mele in quarti, si schiacciano nella pressa a due rulli - un rullo gira adagio e accompagna le mele sotto l'altro rullo, che gira più veloce e macina la frutta - facendo cadere i pezzetti in una grossa ciotola di rame.
La massa di mele tritate si trasferisce nel torchio - si lascia riposare un poco, poi si torchia per ottenere il prezioso succo che, filtrato e posto nel paiolo di rame, cuoce a fuoco dolcissimo fino a che non si riduce, ottenendo la crema densa e vischiosa che è la mostarda.
Ho imparato dal libro di Marco che a volte capitava di aggiungere a metà qualche pera cruzet o martin sec, tagliata in quarti qualche giorno prima e lasciata appassire: erano i canditi di un tempo.
Racconta un vecchio agricoltore: "per capire se la mostarda era pronta, ne mettevo un poco in un piatto facendola raffreddare, poi con un cucchiaio facevo una riga in mezzo. Se la riga si richiudeva, non era ancora pronta, se la riga stava quasi per chiudersi, allora era pronta."
Sembra facile, ma non lo è affatto, il rischio è che si indurisca troppo e caramellizzi. Un altro testimone racconta che è la mostarda stessa che ti fa capire quando è pronta, si comporta come il latte e bisogna stare attenti quando schiuma e sale, altrimenti esce dal paiolo in un attimo. Ha però il vantaggio di non attaccarsi al fondo mentre cuoce (almeno quello!).
Il suo utilizzo in cucina
La mostarda accompagna egregiamente la polenta, il bollito misto, la paletta biellese, i formaggi locali di vacca o di capra, si spalma sul pane, aromatizza l'acqua di fonte rendendola una bibita dissetante.
Vi garantisco che è davvero buona: dolce con una generosa punta acidula, morbida ma consistente. Personalmente ne aggiungo un cucchiaino al mio porridge mattutino e sorrido al pensiero di ciò che i nostri vecchi penserebbero se mi vedessero!
Vi è venuta voglia di provarla? Purtroppo non si fa quasi più: un tempo il potagé, la stufa a legna che permette cotture lunghissime e dolci, era presente in ogni cucina, ma oggi si trova sempre più raramente e le preparazioni tradizionali presto diventeranno solo racconti e magari se ne perderà memoria.
Qualche piccola e coraggiosa realtà locale ha provato a riprenderne la produzione, per esempio l'agriturismo Oro di Berta di Portula, nel territorio del parco naturale Oasi Zegna. Ora che la primavera è alle porte può essere un'ottima occasione per una gita alla scoperta di un bel territorio che ha molto da offrire: passeggiate alla portata di tutti, prodotti di eccellenza, trattorie tipiche.