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Cucina e filosofia a braccetto?

Gli anni della retrotopia e della trattoria



Molto spesso mi sono chiesto se ci fosse un fil rouge di lettura tra la cucina e le scuole di pensiero (filosofia, antropologia, sociologia, semiologia) che interpretano la società in un determinato momento storico. Nel tempo sempre più ho maturato la convinzione che i movimenti culturali e filosofici abbiano delle correlazioni con le  tendenze culinarie. Francesca Rigotti, filosofa e saggista, che ha scritto tra l’altro “La filosofia in cucina. Piccola critica della ragion culinaria”, sostiene che la cucina è un sistema chiuso, dotato di rituali e regole precise, che vanno rispettati, oppure violate, ma solo dopo essere state ben apprese. Queste regole e questi rituali si chiamano ricette. Le ricette sono in cucina ciò che per Platone, in filosofia, erano le idee, modelli intellettuali dotati di una loro forma e di una loro riconoscibilità specifica. La Rigotti ha altresì elaborato un “Manifesto del cibo liscio”che si basa sul concetto filosofico (lisse e striè), del cui modello l’autrice pone l’interrogativo se possa essere applicato anche all’alimentazione. Il Manifesto è stato da sempre un medium di comunicazione per dettare regole e rituali molto diffuso tra le varie filosofie di cucina che via via, nel tempo, si sono diffuse, così il Manifesto della Cucina Futurista, il Manifesto della Nouvelle Cuisine, il Manifesto della Cucina destrutturata.

L'uomo è ciò che immagina di mangiare

Di frequente si sente pronunciare, anche a sproposito, l’affermazione: “l’uomo è ciò che mangia”, tratta da Ludwig Feuerbach, filosofo che rispecchiava in pieno la mentalità ottocentesca, ovvero la consapevolezza di ciò che si mangia è un passo per raggiungere la coscienza di sé e, potenzialmente, per generare le trasformazioni sociali da cui il credo che per pensare fosse necessario alimentarsi meglio. Attualmente l’affermazione di Feuerbach sarebbe da cambiare in “l’uomo è ciò che immagina di mangiare”, considerate le adulterazioni e le truffe che sempre più spesso vengono scoperte nell’ utilizzo di ingredienti e nelle lavorazioni dannose per la salute. Soprattutto però mi hanno  riportato al confronto tra cucina e descrizione della società civile e politica gli scritti di un maestro di pensiero, Zygmunt Bauman (si è spento recentemente), autore tra l’altro di “Modernità Liquida”, “La cultura nell’età dei consumi”, “L’etica in un mondo di consumatori”. Questo influente intellettuale polacco riesce quasi sempre a “bollare” la società con termini che lasciano il segno per anni, a cominciare da “liquida”e recentemente da “retrotopia” (nei prossimi anni sarà di certo catalogata come “parola nuova”). Un passo del libro che porta questo titolo (“Retrotopia”, ed. Laterza, collana Tempi Nuovi) mi ha intrigato: “abbiamo invertito la rotta e navighiamo a ritroso. Il futuro è finito alla gogna e il passato è stato spostato tra i crediti, rivalutato, a torto o a ragione, come spazio in cui le speranze non sono ancora screditate. Sono gli anni della retrotopia”. E da parte mia aggiungo sono gli anni della “trattoria”, metafora per significare un ritorno alla concretezza, un richiamo a ciò che era stato messo in disparte: quali le ricette, che pur non essendo la fotocopia d’antan, ne riprendono l’idea. Non solo, “retrotopia” sono anche i tanti prodotti rurali (un esempio: i grani antichi dimenticati nel tempo per la scarsa resa, riconsiderati per essere più salutari), i vini “cosiddetti naturali” ottenuti con procedimenti che si rifanno a tecniche della tradizione contadina. La stessa alimentazione delle persone è “retrotopica” perché gli insegnamenti della dietetica in voga oggi richiamano a un ritorno alla cena serale sempre più povera, così come un tempo avveniva soprattutto in campagna. L’inversione della rotta con la navigazione a ritroso, in gastronomia, è una chiara risposta alla dilagante cucina spettacolo, che poggia le basi sul concetto che il nutrimento della società è l’allucinazione mediatica (stupire per divertire). Una cucina ricca di ingredienti esotici in grado di far sognare il viaggio a tavola, di chef mediatici autori di una creatività fine a se stessa e di un linguaggio circolare.

La cucina postmoderna: da Ferran Adrià a David Munoz

Faccio ricorso ancora a Bauman per tracciare un soggettivo (a me mi piace…) parallelismo tra filosofia, o meglio interpretazione della realtà storica, e cucina con la sua nota teoria di “società liquida”. Così come il pensatore polacco ha visto negli anni passati la crisi del concetto di stato, di comunità, di soggettivismo sfrenato, a causa di mancanza di punti di riferimento da cui “tutto si dissolve in una sorta di liquidità”, anche la cucina dagli anni Novanta in poi si è liquefatta. Un periodo contrassegnato dalla dissacrazione dei codici della cucina (rituali e regole precise) da parte dello spagnolo Ferran Adrià, a cui hanno aderito non solo chef spagnoli, ma imitatori in tutto il mondo, le cui creazioni non hanno  una traccia nel passato, ma sono realizzazioni destrutturate che immediatamente diventano obsolete, ovverosia liquefatte. Tuttora però il fenomeno, descritto nella società da Bauman, continua per opera di uno chef spagnolo, David Munoz del DiverXo di Madrid che definisce la sua cucina appunto “cocina liquida” perché rivoluziona tra l’altro  le modalità di abbinamento: “la mia cucina - dice Munoz - è basata sull’armonia tra solido e liquido, il primo si fruisce con le posate, l’altro con la cannuccia”. Non solo la cucina destrutturata, ma possiamo definire “liquida” anche una corrente culinaria che ha frantumato i confini delle regole e dei rituali, ovverosia la “fusion cuisine”, forse la modalità di cucina più transnazionale, dove  la tradizione dei vari paesi e la cultura dei vari interpreti è stata frantumata, creando un movimento anarchico e libertario. I termini liquida o retrotopica non sono però in sintonia con il mangiare giapponese, la cui cucina trae i principi fondamentali dalla concezione religiosa e filosofica buddista. Bellezza, rigore formale e sensibilità estetica sono radicate nella tradizione e in molte pratiche del quotidiano e appunto segnano anche la cucina, nascendo tutte dallo Zen. Nei prossimi anni il verbo culinario di certo sarà contraddistinto dall’ azzeccato termine di Bauman, con un’aggiunta “retrotopia nelle cucine”.

 

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