A scuola di caffè con Agust: dal chicco alla tazzina
Il mondo dietro la tazzina di caffè. Ce lo spiega Daniele Corsini, Responsabile di produzione della torrefazione Agust
Vi siete mai chiesti cosa c’è dietro una tazzina di caffè? Un intero mondo che parte da un viaggio in terre affascinanti. La filiera del caffè è un lungo susseguirsi di passaggi unici e fondamentali per la riuscita di un ottimo prodotto finale.
Come torrefazione Agust, pensiamo che l’unico modo per garantire una tracciabilità e una conoscenza totale dei nostri prodotti sia viaggiare direttamente nei paesi dove tutto il processo ha inizio. Oggi la nostra puntata della Scuola di caffè sarà dedicata alle piantagioni.
Le origini del caffè
Il caffè è il seme del frutto di una pianta che cresce nella fascia equatoriale, appartenente alla famiglia delle Rubiacee del genere Coffea, di cui le varietà più famose e commercializzate sono l’arabica e la Robusta e che a loro volta si suddividono in ulteriori varietà a seconda del Paese di provenienza, delle condizioni climatiche e del terreno in cui si trovano.
Le giornate in piantagione cominciano con la visita delle “Finche” (termine spagnolo per identificare le piantagioni) per capire la tipologia di varietà trattate, l’altitudine a cui si trovano e la processazione del caffè. Queste visite ci garantiscono un prodotto estremamente tracciato e ci permettono di avere un caffè di qualità superiore in tazza.
Un altro fattore determinante del risultato finale insieme alla varietà è il processo che il caffè subisce una volta raccolto.
I due metodi principali sono la processazione naturale e la processazione lavata: il primo è più antico e viene utilizzato maggiormente nei paesi carenti di acqua perché le “bacche” mature, una volta raccolte, vengono fatte immediatamente essiccare al sole su grandi patii e continuamente tenute in movimento per evitare la formazione di muffe o sovrafermentazioni.
La seconda metodologia, quella lavata, richiede l’utilizzo di grandi vasche in cui il caffè viene selezionato, depolpato e successivamente essiccato sui patii.
“Non esiste un metodo migliore dell’altro: sono diversi e la scelta dipende dalla miscela che si vuole ottenere. A livello generale il metodo lavato porta in tazza sentori floreali e una maggiore acidità, mentre il metodo naturale tendenzialmente porta sentori fruttati legati a una grande dolcezza e un’ottima corposità”, ci spiega Daniele Corsini, responsabile di produzione della torrefazione.
Negli ultimi anni si sono sviluppate diverse tecniche di processazione che sfruttano fermentazioni particolari o soluzioni ibride tra metodologia naturale e lavata per esaltarne diverse caratteristiche organolettiche. In questo modo si cerca di ottenere prodotti unici per differenziarsi dal mercato tradizionale.
Un altro passo di vitale importanza durante la lavorazione in piantagione è l’assaggio dei caffè.
Vengono organizzate sessioni d’assaggio nelle “finche” per valutare il risultato finale in tazza e per comprendere quale partita possa essere interessante per le nostre miscele e le singole origini.
La tecnica d’assaggio è definita “alla brasiliana”: il caffè viene macinato grossolanamente e lasciato in infusione in acqua calda a 92, 93 gradi dai 4 ai 10 minuti in modo che rilasci tutte le sue proprietà nel liquido di infusione.
I campioni di caffè vengono tostati con un tenore medio-chiaro per esaltarne al massimo l’aromaticità, ma anche per evidenziarne maggiormente eventuali difetti. Ma cosa si valuta durante l’assaggio? “L’intensità, l’acidità, la dolcezza e il corpo sono le principali caratteristiche che bisogna prendere in considerazione. Occorre però, saper valutare anche i difetti: il caffè è un prodotto naturale e, come tale, vi è la possibilità di trovare sentori sgradevoli come: riato, legno, terra, sovrafermentato che vanno chiaramente non presi in considerazione", aggiunge Daniele.
L’ultima operazione svolta prima che il caffè venga spedito è lo stoccaggio.
Uno scorretto stoccaggio metterebbe a rischio l’intero raccolto che si accinge ad affrontare un viaggio per mare. Per questo i nostri caffè vengono stoccati in sacchi“GrainPro”, un materiale plastico inserito all’interno del più tradizionale e famoso sacco di juta che protegge i chicchi da agenti esterni e ci permette di mantenerne più a lungo le caratteristiche chimico-fisiche fino al nostro magazzino.
“Lo stoccaggio è fondamentale: il chicco crudo ha un’umidità interna che deve mantenersi tra il 10,5% e il 12%. Se il caffè fosse troppo secco non si riuscirebbe a sviluppare in tostatura grandi aromaticità, al contrario, se fosse troppo umido si creerebbe un forte rischio di proliferazione batterica e di muffe. La sola juta velocizza il processo di deperimento della materia prima causata dal “contatto” con gli agenti esterni, il GrainPro ci aiuta a preservare le proprietà organolettiche, mantenendo il giusto grado di umidità”, conclude Daniele.