Il Dr. Jekyll e il Mr. Hyde della cucina italiana
Gianfranco Vissani ha segnato una pagina importante della nostra cucina
Quando agli inizi Gianfranco Vissani salì alla ribalta della critica gastronomica, con le sue proposte ricche di accostamenti inediti e, a prima lettura, impossibili ai palati “comuni”, rimasi stupito che, di contro, le mie figlie, allora molto piccole, chiedessero di sedere ai suoi tavoli perfino il giorno di Natale. Mi resi conto allora che Vissani aveva una straordinaria qualità: rendere comprensibile il gusto con una tecnica complessa di cucina.
Anni fa lo avevo definito il “Dr. Jekyll e Mr. Hyde” della cucina, una definizione che lo aveva fatto arrabbiare. A distanza di anni, confermo quanto avevo scritto perché Gianfranco Vissani è proprio così: chef talentuoso, come pochi, originale senza modelli di riferimento e, di contro, una persona invadente, caciarone, polemico. Però come non posso negare che abbia anche una raffinatezza nascosta che emerge dai dettagli del suo ristorante (tovaglie, posate, calici, mobiletto a temperatura per i formaggi, il menu scritto in modo elegante a mano) e pura ricercatezza nelle camere del suo albergo.
Questo cuoco ha segnato una pagina importante della cucina italiana, già a metà degli anni Ottanta, con proposte originali che non si rifacevano a nessuna corrente culinaria, nonostante all’epoca dominasse la nouvelle cuisine. È uno dei rari chef che ha continuato a rimanere se stesso, anche all’arrivo sulla scena gastronomica delle tendenze che sono balzate alla ribalta: la via spagnola di Ferran Adrià, la fusion, il verbo nordico di Renè Redzepi. Non è facile dare un’etichetta alla sua cucina, se non quella di possedere un talento naturale, come quando nei primi anni di grande crescita presentò un piatto che ha fatto discutere, come l’agnello e ostriche; non a caso lo stesso accostamento si trova in Apicio. Di certo, la sua cucina ha una base nella conoscenza profonda delle materie prime. Pochi conoscono profondamente il patrimonio dei prodotti italiani, come Vissani, ciò gli ha sempre permesso di sfruttare al meglio la qualità degli ingredienti.
Profonda cultura gastronomica dunque, ma anche grande capacità di amalgamare sapori e profumi, banditi dall’aritmetica del gusto comune, come la sella di capriolo; lasagne di mirtilli con foie gras; faraona al tartufo bianco con salsa di astice e mentuccia; quiques di papaia e cavolfiore; riso carnaroli alla marmellata di rosmarino; vialone nano sposa il maialino; anzi la crosticina con fegatelli, salsa di piselli e scampi. Ricordo la mia prima volta (mi pare sul finire del 1985), quando ancora l’insegna del locale era “ex Padrino” (ovverosia la trattoria del padre di Gianfranco, che aveva poi accesso nel “Vissani)”, un piatto che, alla lettura mi aveva basito: “carrè di capriolo, anguilla, salsa al caffè, gateau di uva. Poi, dopo un primo assaggio, mi resi conto delle sue qualità di far coesistere accordi e contrasti. È uno dei pochi cuochi compositori tra gli chef, e non un interprete come tanti!