Dopo la dieta, viva la cucina di strada
Molto meglio del finger food
Leggi il domenicale!
Le mani sono l’unico punto in comune tra cibo di strada (Street food) e finger food. Non si deve assolutamente far confusione fra queste due modalità di mangiare, anzi sarebbe prendere fischi per fiaschi.La cucina da strada è una pratica culinaria basata sulla preparazione, consumo e vendita in strada mercati etc. praticata soprattutto da ambulanti, mentre il finger food o viene cucinato da cuochi, cucinieri e chef o da catering griffati per velocizzare il servizio e “risparmiare” posate, tovaglioli (a volte di carta) e piatti (a volte usa e getta). Negli ultimi anni il finger food ha cannibalizzato l’happy hour, praticato soprattutto nei bar dove, di fatto, abbuffandosi si risparmia la cena con paste scotte, salse per coprire le magagne e pizzette di tutti i colori e forme.
Dunque una grande differenza tra finger food e cibo di strada, che non è una peculiarità solo italiana, basti pensare agli hot dog di New York, al Kebab di molti paesi orientali, ai tacos messicani.
In Italia esiste da sempre una grande tradizione, non solo siciliana, presente soprattutto nei mercati di Catania e di Palermo: pane ca’ meusa, panelle, arancini e arancine (termini locali diversi), stigghiole, u’ sfinciuni, ma le specialità di strada sono davvero sparse per lo stivale con antiche radici.
A Firenze il panino con il lampredotto (non si tratta di trippa, come molti pensano bensì l’abomaso, ossia il quarto incavo dello stomaco del vitellone) è un rito non solo per i locali, ma di tanti viaggiatori che, ogni giorno si vedono in fila davanti ai tre carretti (superstiti) dei trippai vocianti.
Sempre in Toscana nell’aretino si può gustare il pan co’ grifi e la particolare porchetta di Monte San Savino. Ormai il consumo della porchetta ha invaso l’Italia con mezzi super attrezzati, diventando un cibo di largo consumo “industrializzato”, però restano ancora i veri artigiani con la cottura a legna. Nel Casentino si assaggia il baldino, conosciuto altrove come castagnaccio e in Lunigiana i panigacci.
A Livorno è ancora possibile gustare “cinque e cinque”: torta di ceci condida con pepe servita in un panino morbido. E’ una variante della cecina, nonché della farinata ligure o fainà, di cui un tempo Genova offriva molte “sciamadde” dove poterla gustare. Sempre in Liguria regna la focaccia di Recco.
Molto ricco è il centro Italia di tradizioni di cibo di strada: la piadina, il fritto misto, il tortello nella strada, il crescione in Romagna, gnocco fritto, torta fritta, crescentina, tigella, borlengo in un’ Emilia che profuma di fritto; le spuntature e ciarimboli nell’anconetano, le spuntature, le olive all’ ascolana, la crescia sfogliata di Urbino, gli arrosticini in Abruzzo. E nell’ Alta Murgia (Puglia) i popolari “gnummeredd”, involtini di interiora di agnello cotti alla brace. Un patrimonio questo di tradizioni e di cultura materiale unico, da non disperdere. Viene da chiedersi cosa ci azzecca con la dieta mediterranea. Sine qua non
Davide Paolini