Il mastrobirraio d'Oltreoceano
Incontro con Garrett Oliver, brewmaster di Brooklyn Brewery e ambasciatore del buon bere
Se in occasione di una serata di presentazione di birre prodotte da un importante birrificio americano “X”, vi fosse proposto un incontro con il mastrobirraio per un’intervista, non so voi chi immaginereste di trovarvi davanti... Io certo non mi aspettavo una figura tanto simpatica, effervescente e di grande carisma come l’interlocutore che si è seduto di fronte a me qualche sera fa al Tizzy’s a Milano. Si tratta di quel genere di persone la cui sola presenza iconoclastica calamita l’attenzione. Alto, con il tipico sorriso contagioso degli afro-americani, vestito con una maglietta di un rosso acceso e con un cappello di paglia in testa Garrett Oliver, brewmaster di Brooklyn Brewery, ad una prima occhiata poteva ricordare un cantautore southern di New Orleans; è invece uno tra i più grandi esperti di birra mondiali, e non solo.
Da entrambe le sponde dell’Atlantico è considerato un ambasciatore della cultura del buon bere. Infatti non si accontenta di produrre birra, ne parla e ne scrive, e non solo per Brooklyn Brewery, ma per l’intero movimento della craft beer americana. Nella sua filosofia la birra è solo una parte dell'universo gastronomnico. Proprio per questo è autore di diversi testi sugli abbinamenti beer&food e tra i promotori originari di Slow Food USA.
Qualche pinta con Garrett è bastata per percepire la passione che lo anima e che sgorga dalle sue parole. Gli piace il nostro Paese, da quattordici anni passa le vacanze qui. Delle birre italiane ha un parere dicotomico: «Grandiose alcune» dice «ma molte produzioni non sono costanti nel tempo, provi un etichetta una volta e la volta successiva è anche molto diversa». È affascinato «dagli ottimi ingredienti e dalla favolosa creatività dei birrai» e a proposito racconta di una visita ad un amico in Liguria. Gli era stato chiesto il parere su di una birra aromatizzata con un'erba che a lui «sembrava foraggio». Non credeva che potesse essere buona per brassare. Al contrario, posta in acqua calda, l’erba sprigionava «sentori di camomilla, menta e fiori». Questo è ciò che lo attira: il terroir italico.
Tra le birre della serata una era una rarità, la Black Ops, una Imperial Stout da 10,5 gradi, invecchiata in botti di bourbon e rifermentata con lieviti da champagne. Letteralmente un’operazione segreta, produzione limitatissima, solo 250 cartoni l’anno, quasi impossibile da acquistare; segreta a tal punto che lo stesso Garrett, poco dopo averne parlato ed averla bevuta insieme, ha cominciato a negarne l’esistenza.