MasterChef: missione crociera
Una proposta per le prossime selezioni del talent show sulla cucina
Ciò che sorprende non è lo squillo di trombe mediatico che sta accompagnando l’apertura, stasera, della terza stagione. Tantomeno gli ospiti stranieri annunciati con sanremese entusiasmo. E neppure il nuovo taglio di capelli del giudice Cracco che, c’è da scommettere, farà discutere più di uno dei piatti ipercreativi del “fu” finalista Maurizio. Niente di tutto questo. Ciò che colpisce dell’ultima edizione di MasterChef Italia è che ben 15.000 cuochi amatoriali, armati di pentole e velleità culinarie, si siano presentati ai casting sperando di dare una svolta alla propria vita grazie o per colpa dei fornelli.
Di questo esercito di aspiranti chef multistellari, quanti hanno idea di cosa sia veramente il mestiere di cuoco professionista? Quanti conoscono la dura vita della brigata di cucina? A scanso di equivoci, proporrei di fare le prossime selezioni non in un luccicante studio televisivo, ma all’interno di un’ambientazione che ponga le aspirazioni dei concorrenti di fronte allo specchio della realtà: la cucina su una nave da crociera. L’idea mi è balenata quando recentemente mi è stato concesso di fare un giro nelle cucine della Legend of the Seas della Royal Caribbean, di stanza nel Mediterraneo, una nave tutto sommato piccola rispetto agli standard della compagnia, perché può ospitare “solo” 2400 passeggeri (escluso il personale di bordo, intorno alle 700 persone), rispetto ad altre che raggiungono una capacità di oltre 6.000. Il che si traduce, in termini alimentari, in circa 10.000 pasti al giorno e un’ottantina di addetti che si avvicendano durante le 24 ore (notte compresa) nelle preparazioni. A portare avanti il tutto con precisione militaresca c’è Anil George, Executive Chef di origini indiane, partito per la sua prima crociera nel 1991 e da allora ma più sceso su una “cucina di terra”. Quando lo incontro nel suo ufficio, ho in canna una serie di domande che presto scoprirò essere, per dirla con un eufemismo, del tutto naif.
Quesito n° 1 di evidente ispirazione salgariana: Lei ha girato il mondo, attraversato mari e oceani, incontrato culture e tradizioni lontanissime, chissà quante contaminazioni ha la sua cucina?
In realtà tutti i 18 menù che proponiamo a rotazione sono studiati in Florida da uno staff di chef. Noi riceviamo la ricetta con foto e ci atteniamo scrupolosamente alle loro indicazioni nella preparazione del piatto.
Quesito n° 2 che trasuda di furore territoriale: La materia prima viene acquistata nei porti dove si fa scalo? Utilizzate anche prodotti tipici locali?
In realtà tutto arriva dagli Stati Uniti, tranne per la fornitura di frutta, verdura e latte che prendiamo in Italia e Germania.
Quesito n° 3, lo spirito di “Speed 2: Cruise Control” prende il sopravvento: Qual è la situazione più critica che le è capitata di affrontare?
Quando per qualche motivo siamo stati costretti a saltare dei porti proprio dove c’erano derrate alimentari da caricare, il cui ordine era stato fatto con diverse settimane di anticipo.
Con non più grilli per la testa, vengo accompagnata a visitare le cucine. Mi accoglie un’allegra brigata multietnica, incuriosita dalla mia presenza, che mi invita a partecipare ad uno dei riti quotidiani: l’assaggio del menù completo che verrà proposto la sera stessa nel ristorante principale della Legend of the Seas. Come un giudice del famoso talent show culinario, vengo messa davanti ad una serie di piatti che a turno verranno assaggiati e commentati da me e dall’Excutive Chef. Ammetto la titubanza iniziale: che ci sarà da valutare in un piatto-copia ideato da qualche mente oltreoceano? Mi ricredo non appena assaggio il primo boccone e mi ritrovo dieci paia di occhi puntati addosso in attesa del verdetto. Anil George mi precede e inizia a puntualizzare su contrasti di sapori, una salsa da aggiustare, le consistenze da mettere a punto. Io annuisco a ruota, salvo poi sbilanciarmi per amor di patria su un piatto di spaghetti: "Buono eh, ma questa pasta non è esattamente al dente". Di sano realismo la risposta che ne segue: "Se la facessimo come voi italiani, gli altri ospiti internazionali penserebbero che sia cruda". Ultima domanda, Mr Anil, ci sono miei compatrioti che lavorano nel suo team? Nessuno, risponde lui. Già, penso io, devono essere tutti in fila per diventare MasterChef.