Il vino che verrà
La responsabilità dei produttori nel prevedere le richieste del mercato
Spesso mi piace fermarmi a pensare al futuro del vino: cerco di immaginare quali potranno essere i vitigni più richiesti, quali le bottiglie più stappate. Poi mi rendo conto che quelle che per me sono fantasie e frutto di immaginazione, costituiscono invece, per i produttori di vino, vere e proprie scelte che, sulla base delle loro impressioni e del loro istinto, hanno compiuto già alcuni anni fa. Questi uomini devono immaginare le richieste e osservare le tendenze del mercato prima che esse abbiano luogo.
Ci sono zone del mondo dove simili pronostici sono decisamente più semplici da farsi: in Borgogna, ad esempio, da oltre un millennio nessuno si permette di considerare altre varietà che non siano quelle, note e celebri, di Pinot Nero e Chardonnay. I nostri viticoltori custodiscono invece una grande responsabilità, per non disperdere ciò che i nostri avi hanno pazientemente selezionato nei secoli. Si tratta di scelte complesse. Le decisioni qui prese si rifletteranno nei decenni a venire, e una chiara visione strategica evita errori e i costi che conseguono a una marcia indietro.
Solo il buon senso, la competenza e una certa dose di fiuto possono farci capire la differenza tra vitigni di zone vitivinicole storiche nelle quali il valore della tradizione è il vero valore aggiunto e altri, per i quali si comincia a sentire il bisogno di nuova linfa innovatrice che sovverta qualche schema. Magari ricercando nel panorama italiano i migliori vitigni, per espressione e caratteristiche, che possediamo. Poco importa se Chardonnay e Cabernet Sauvignon hanno ormai invaso i vigneti del nostro paese: è un dato di fatto. Quello che non si comprende è per quale ragione la stessa opportunità debba essere concessa anche a vitigni poco significativi, siano essi francesi o nostrani.
La risposta è spesso a pochi chilometri da noi, nelle molteplici varietà che garantiscono ai vini una straordinaria bevibilità e un'ottima piacevolezza, come la Garganega nella zona di Soave e Gambellara, il Verdicchio nei pressi di Jesi o Matelica, il Fiano ad Avellino, il Timorasso dei Colli Tortonesi e ancora il Vermentino dalla Gallura, per citare solo pochi esempi. Non sarebbe interessante e per certi versi anche assai gratificante sperimentare, ad esempio, il Timorasso sugli Appennini Aretini, o la Malvasia Istriana sui Colli Euganei, invece che uno Chardonnay o un Viognier, a noi poco, poco vicini?